capitolo secondo. — l'erudizione. <'>5
uomini diverse dalla nostra » (1). — Anche Apulejo, nel libro De Mundo, aveva accennato isole all'Occidente dell'Oceano in modo che pare avesse divinata l'esistenza dell'America e dell'Oceania : similes huic (al nostro continente), egli dice, alias (in-sulas) circumfudit Oceanus, qucc tamen videntur ignota:, nam frctis latioribus ambiuntur (2). — Questa ed altre moltissime tradizioni geografiche dell'antichità, commentate ed illustrate dagli eruditi, si spandevano rapidamente, si aggiungevano alle tradizioni proprie del commercio italiano, alle cognizioni comunicate agli Italiani dagli Arabi, alle teorie scientifiche del Medio Evo, e fondendosi e bilanciandosi con esse, formavano una sintesi nuova. Già Paolo Toscanelli (3) additava ad Alfonso V di Portogallo la via delle Indie per l'Occidente, e già era nato e meditava Cristoforo Colombo.
Cosi la rinascente antichità ajutava lo spirito umano a svolger la propria libertà, ad ampliare la sfera dell'universo visibile, a mutare infine l'aspetto della terra. E come vedemmo gli eruditi estendere il Cristianesimo, e comprendervi tutta l'antichità pagana, così ora vediamo i cosmografi ed i viaggiatori italiani voler cristia-nificare tutta la terra. Paolo Toscanelli scriveva a Colombo che il viaggiare al Levante pel Ponente non solo era possibile, ma vero e certo, e di onore e di guadagno inestimabile, e di grandissima fama presso i Cristiani. Colombo credeva d',aver ricevuto da Dio la missione di diffondere il Cristianesimo su tutte le nuove terre. « Io sono, egli diceva, il messaggiero del nuovo cielo e della nuova terra, di cui Nostro Signore parlò per bocca di S. Giovanni nell'Apocalisse e per bocca d'Isaia ».
Fra le manifestazioni dello spirito d'un' epoca data, v'ha una solidarietà intima, profonda, indissolubile. — Quella tendenza dello spirito allo studio dell'uomo e della vita reale, così possentemente ajutata dalla contemplazione dei modelli greci e latini, quell'imitazione dell'antico, congiunta col Cristianesimo in un modo affatto speciale, che noi abbiamo trovato nelle pagine degli eruditi, si riproducono anche nelle forme dell'Arte. — Già sull'aprirsi del secolo XV e fin verso la metà di questo, lo spiritualismo trascendente del Medio Evo cessa di esercitare un predominio esclusivo sulle produzioni della pittura. Infatti, mentre alcuni pittori continuavano le tradizioni di Giotto e dell'Orgagna, rappresentando il mondo dello spirito come lo aveva sentito il Medio Evo italiano, altri, sotto l'arcano impulso di una ispirazione nuova ed essenzialmente profana, tendevano già a rappresentare più il mondo dell'uomo e della vita reale. E verso la metà del secolo XV, questa seconda tendenza dell'arte predominò, e si formò quella scuola di pittori, che, pel loro culto speciale della natura vivente, altri ha chiamato dei naturalisti. Allora scomparvero dalle tavole quelle figure esili, eteree, con in volto dipinta una celestiale speranza mista ad una soave malinconia, che fra Angelico credeva rivelazioni del cielo, e che esprimevano così al vivo il culto dello spirito, il disprezzo della materia e la tristezza che è in fondo all'anima di tutto il Medio Evo. L'attenzione dell'artista, che per lo passato era tutta rivolta alla testa, dove splende l'anima, si portò anche alle mani, ai piedi, alle rimanenti parti del corpo ed alle vesti, perchè la natura e la realtà della vita avevano, agli occhi suoi, riacquistato tutto il loro valore. Per questa stessa ragione i campi d'oro e di luce, che sono quasi lo spazio infinito dello spirito, nelle tavole del secolo XV, cedono il posto ai fondi fatti dalle prospettive, dall'architettura, dai paesaggi, che sono lo spazio finito su cui s'agita la vita terrena. È trascorsa l'epoca, nella quale, come diceva Buffalmacco, i pittori non attendevano ad altro che a far santi e sante per le mura e per le tavole, ren-
(1) Vedi Humboldt, Cosmos tom. II, part. II. Chap. IV.
(2) Citato da Gabriele Rosa — Storia delle Storie. Cap. V, pag. 133 — Milano editori della Biblioteca utile, 1865.
(3) Nato in Firenze nel 1397, morto nel 1482.