Stai consultando: 'Storia Letteraria d'Italia Il Risorgimento', Giosia Invernizzi

   

Pagina (104/380)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (104/380)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   (52 il risorgimento.
   pingui frutti dalla lora questua. Questi uomini inerti e larvati, che godono con somma pace i frutti delle fatiche altrui, nulla fanno per il benessere della società. Spregiatori dei beni mondani, viventi in ozji contemplativi, fuori dall'attività sociale, di che utilità sono essi al mondo ed alla fede stessa1?
   « Non voglio investigare la segreta condotta, nè scrutar gli animi di questi cenobiti. il che spetta a Dio solo. Non voglio indagare se sieno sobri o intemperanti, se sieno casti o lascivi, se impieghino il loro tempo nello studio o lo consumino nell'ozio, se sieno o 110 rosi dall'invidia ed avidi sempre d'ingrandimento. Non basta però che stieno chiusi nel chiostro, involti in grosse vesti, e non facciano alcun pubblico male. Dimando di quale utilità sieno essi alla fede, e che vantaggi rechino al pubblico. Non so che facciano altro che cantar come cicale, ed a me pare che per tale esercizio dei loro polmoni, sieno troppo ben pagati. Esaltano però essi le loro fatiche, quasi forze di Ercole, perchè sorgono a cantar nella notte le lodi d'Iddio. Certo è un gran merito quello d' alzarsi a salmeggiare. Ma che mai direbbero se si levassero per andare all' aratro come i contadini, esposti al vento ed alla pioggia, scalzi e mal vestiti? La divinità non avrebbe allora certamente alle loro fatiche ed alle loro pene premio corrispondente. È forza però confessare che vi sono molti degni e santi uomini fra loro : ne convengo. Ma sarebbe ben trista cosa se m una così grande moltitudine non vi fosse qualche buono (1) ».
   Quanto siamo lontani dai tempi in cui lo spiritualismo cristiano aveva posto come fondamento della vita il pensiero della vanità delle cose mondane ! Per il Bracciolini i beni della vita terrestre, la scienza3 l'arte, l'industria, tutte le manifestazioni dell' attività umana hanno riacquistato il loro valore ; quel mondo della misticità trascendente del Medio Evo, dove lo spirito solo regnava, ed aveva valore immortale, e tutto il resto era vanità delle vanità, si cangia in un mondo umano dove il finito e l'infinito, la materia e lo spirito, il corpo e l'anima, debbono armonizzare tra loro, e fondersi insieme. Dacché questo principio mondano è rinato nella coscienza, d'innanzi a lui lo spirito del Medio Evo deve cedere, e ritirarsi da tutte le manifestazioni della vita. — Qual è la fonte della nobiltà % domanda il Poggio. Uno scolastico avrebbe probabilmente risposto, derivandola per via di una lunga serie di sillogismi da Dio stesso. Poggio invece dice che l'animo solo è la fonte e la sede della vera nobiltà. Fuori di qui essa non ha nulla di reale e di fisso; è mobile come le opinioni del volgo, come i sentimenti e le credenze e le superstizioni dei popoli e delle epoche. Non deriva dalla natura, perchè le qualità fisiche non possono costituirla ; non dipende dall' acquisto delle ricchezze e delle dignità, perchè queste vanno e vengono, e possono anche talvolta essere più di disonore e di vitupero che di lode. Che se la nobiltà consiste nell'uso che si fa delle cose esteriori, diretto dalle interne disposizioni dell'animo e della mente, allora essa si confonde colla virtù, e nulla aggiunge a questa. Fuori di qui la nobiltà è un sogno, un delirio dell'orgoglio umano. Certo che le ricchezze, gli onori, le dignità danno splendore a chi le possiede, tuttavia l'uomo può essere nobile anche senza queste cose esteriori (2). — Così il Poggio abbatteva le barriere, colle quali, in nome del cielo, si erano divisi gli uomini sulla terra. Tranne Lorenzo Valla, niuno degli eruditi di questi primi cinquant' anni del secolo XV oltrepassò più di Poggio i limiti della passiva contemplazione e dell'imitazione dell'antico. Benché il movimento delle sue idee sia tutt'altro che indipendente dagli antichi, niuno ebbe d'innanzi alla mente un più vasto orizzonte, niuno ebbe maggior larghezza ed indipendenza di pensiero. — Vivendo in mezzo alla Corte pontificia egli ebbe agio di notare gli abusi della Chiesa, e l'ipocrisia, l'avarizia, l'indifferenza religiosa de'suoi membri, e specialmente dei frati. E dotato com' era di libero ed acuto intelletto, d'animo franco, un po' scettico, un po' inclinato all'ironia, ei non lasciò di riprendere amaramente quei
   (1) Poggi, Dialogo dell' Ipocrisia. La versione italiana è quella che trovasi nella vita di Poggio di Shepherd, voltata dall'inglese in italiano da T. Tonelli.
   (2) Poggio, Dialogo sulla nobiltà.
   *