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il risorgimento.
dalia nascita, nè dalle dignità, bensì dall'animo, e che forma una cosa sola colla virtù. Riguardo alla nobiltà nulla v' ha di più vario, di più mutevole, di più incerto delle opinioni del volgo; ogni paese, ogni epoca annette l'idea di nobiltà a qualche elemento proprio e diverso da quello di ogni altro paese e di ogn: altra epoca. E a questo proposito il Poggio, per bocca di Niccolò Niccoli, che è uno degli interlocutori di questo dialogo, dà un prezioso ragguaglio dei caratter. che ci volevano per costituire un uomo nobile nell'opinione degl'Italiani, dei Tedeschi, dei Francesi e dei Greci del suo tempo. Il Dialogo sull' Infelicità dei Principi è una tirata rettoiica sulle grandi miserie che accompagnano le più elevate condizioni ; in esso la parte più notevole è la fiera energia con cui Poggio si scaglia contro i vizii dei grandi.
L'elezione di Nicola V alla S. Sede, tolse Poggio agli ozii tranquilli di Val-darno: il nuovo pontefice lo invitò a riassumere l'ufficio di segretario apostolico presso la sua corte, ed egli accettò. Durante il soggiorno in Roma, Poggio tradusse dal greco le Storie di Diodoro Siculo e la Ciropedia di Senofonte, dettò l'invettiva contro l'Antipapa Felice, compose il dialogo sulle vicissitudini della fortuna, e l'altro assai più famoso sull'Ipocrisia (1). In nessuna produzione letteraria di quest'epoca, piena di lamenti e di satire sulla corruzione del clero, c'è più. audacia nel rimovere il velo che copriva l'ipocrita vita dei conventi, né più acerbità nel flagellarla. Leggendo questo dialogo non si può a meno di non meravigliare, pensando che chi lo dettava, viveva nella corte pontificia protetto ed accarezzato dal Papa. Strana contraddizione però! l'uomo istesso che metteva tutta la foga, tutta 1'audacia del suo carattere nel dialogo l'Ipocrisia, scriveva poco dopo l'invettiva contro l'eremita di Ripaille che si era lasciato elegger pontefice dal concilio di Basilea, e gli diceva un mondo d'immeritati vituperi!
Il giubileo del 1450 trasse a Roma una gran turba di devoti, e con essi la peste; onde il Pontefice fu obbligato a ritirarsi a Fabriano, e Poggio nuovamente a Firenze. Fu qui ch'ei pubblicò una raccolta di certe sue novellette intitolate Fo-cetice. È questo un osceno libro, testimonio della profonda immoralità che regnava nelle classi colte della società italiana, e nella stessa corte dei Pontefici di Roma (2).
(1) I libri De varietate fortunce e l'invettiva contro l'antipapa Felice sono compresi tra le opere di Poggio nell'edizione di Basilea più volte citata: il dialogo l'Ipocrisia invece no. Esso si trova nell'appendice dell'opera intitolata; Fasciculus rerum expetenda-rum et fugiendarmn, stampato a Colonia nel 1535, poi a Londra nel 1089 da Edward Brown. Una edizione del dialogo l'Ipocrisia, insieme ad un Dialogo di Leonardo Bruni sullo stesso argomento, fu fatta da Girolamo Sincero Lotaringio ex typographia Anisson ia Lugduni 1689. — Lo Shepherd a proposito del dialogo l'Ipocrisia dice: « La fierezza con la quale (Poggio) inveisce contro le male opere di coloro che pretendevano superare gli altri nella religiosa osservanza dei doveri religiosi, fu senza dubbio il motivo per cui gli editori delle sue opere omisero di pubblicare questo dialogo, che è stato conservato e dato in luce dallo zelo industrioso dei protestanti. » L'edizione di Brown suceennata si fece in Londra all'epoca nella quale la manifesta predilezione di Giacomo II per le dottrine cattoliche romane aveva svegliato qualche timore nei più caldi protestanti inglesi.
(2) Il Liber Facetiarum, che si trova in line del volume delle opere di Poggio, si compone di 274 brevi novellette scritte in latino. Sono sconcezze d'ogni maniera ed aneddoti riguardanti molti uomini dei secoli XIV e XV. — Dove, come e per chi si componesse tanto sudiciume, lo dice il Poggio stesso nella conclusione del suo libro. Quivi egli ci fa sapere che fin dai tempi di papa Martino i segretari pontifici solevano adunarsi nell'aula più appartata della cancelleria pontificia, onde passarvi liberamente il loro tempo, chiacchierando sulle novità della giornata, raccontando aneddoti curiosi e fiabe d'ogni maniera. Come officina di bugie, quell'aula era da essi chiamata Bugiale. Qui non si perdonava a nessuno, si disapprovava liberamente quello che si credeva di disapprovare, e lo stesso pontefice era molte volto il soggetto delle loro critiche e dei loro motteggi. I principali novellatori del Bugiale erano Poggio Bracciolini, Razzello di Bologna, Antonio Lusco, e