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Storia Letteraria d'Italia
Il Risorgimento
Giosia Invernizzi
Francesco Vallardi Milano, 1878, pagine 368

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a cura di Federico Adamoli

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   il risorgimento.
   nella storia qualche cosa di superiore all'aspetto puramente letterario, cosi quella forma rimase 'vuota e sterile finche Macchiavelli non vi trasfuse un nuovo contenuto, e iniziò un modo nuovo di scrivere la storia.
   Il Bruni non poteva però trasfondere nelle forme della letteratura antica un nuovo contenuto, perchè un nuovo contenuto non erasi ancora formato nel suo pensiero. — Prendiamo le sue lettere; che cosa ci troviamo noi1? Se ne togli quelle che descrivono le discordie dello scisma ed i disordini della Corte pontifìcia da Innocenzo VII all' aprirsi del Concilio di Costanza, ed alcune altre che trattano materia di poca importanza per lo scopo nostro attuale, le rimanenti versano tutte intorno ad oggetti di erudizione e di letteratura. — Talora il Bruni prega un amico che gli trascriva un codice antico, talora ne eccita un altro a far ricerca di opere classiche smarrite, spesso invia a qualche erudito o a qualche principe un suo libro recente od una delle sue traduzioni, e più spesso ancora discute sull'interpretazione da darsi ad una parola greca, sul significato da attribuirsi a certi nomi propri che s'incontrano nelle opere dei classici greci e latini. Le quistioni di grammatica e di filologia lo occupano moltissimo, e danno a divedere la sua molta erudizione e il molto acume della sua mente. Anzi a questo proposito è assai notevole una sua opinione sul volgare italiano e sulla lingua latina. — Flavio Biondo da Forlì, un erudito suo contemporaneo di cui terremo parola in seguito, credeva che in Roma antica non ci fosse stata distinzione fra lingua volgare e lingua letterata, ma che una e medesima fosse la lingua parlata dai dotti e dal volgo. Ora il Bruni, in una sua lettera (1), sostiene invece una opinione contraria, e cioè che in Roma c'erano state una lingua volgare ed una lingua letterata, precisamente come c'erano nell'Italia del secolo XV. Il Biondo diceva : gli Oratori romani nel Senato, nei Tribunali e nelle Concioni parlavano il latino dotto di Cicerone; or essi non avrebbero certo parlato così ove non fossero stati sicuri d' essere intesi da tutti. Inoltre le Commedie di Plauto e di Terenzio si recitavano d'innanzi al popolo romano nella lingua stessa in cui erano scritte, il volgo adunque parlava la lingua di Plauto e di Terenzio, altrimenti come avrebbe potuto trar diletto da quelle commedie ? — Ma Leonardo Bruni gli rispondeva : in Roma antica seguiva quello stesso che segue oggidì nelle Chiese delle nostre città, dove gli Evangeli e tutte le altre preghiere della Messa si recitano in latino : la gente illetterata capisce, e tuttavia non parla latino, nè saprebbe parlarlo, perchè è molto più facile capire un discorso che farlo. Quanto agli Oratori romani, bisogna distinguere quando parlavano in Senato e nei Tribunali, da quando parlavano nelle Concioni. Nel primo caso i loro discorsi erano rivolti a persone colte, e potevano quindi benissimo esser fatti nel latino dotto di Cicerone; nel secondo caso i discorsi erano rivolti non solo agli indotti, ma anche ai dotti, chè la parola populus non significava soltanto le infime classi della società romana, ma insieme nobili e plebei, dotti ed indotti. Qui poi l'Oratore non aveva di mira solo i fornai o i gladiatori, ma specialmente quelli che avevano parte nel governo della repubblica. Gli uomini colti capivano a meraviglia il latino dotto dell' Oratore, i fornai ed i gladiatori lo capivano come adesso il volgo capisce le preghiere della Messa, che si recitano in latino. È poi cosa certa quant' altra mai che gli Oratori romani, come anche quelli greci, stendevano le loro orazioni in modo diverso da quello con cui le avevano pronunciate 111 pubblico ; la sostanza delle cose era la stessa, ma la forma era adornata, limata, abbellita, in guisa che le cose che nelle Concioni erano forse state espresse con parole volgari e piane e adattate all'intelligenza di tutti, si leggevano poi espresse per iscritto con parole più nobili ed ornate. Che cosa dobbiamo conchiudere da ciò1? ne dobbiamo conchiudere che tanto nel Senato, come nei Tribunali e nelle Concioni, gli Oratori latini parlavano agli uomini colti in lingua letterata, e che gli indotti, presenti alle ultime delle tre accennate riunioni, capivano quel latino come attualmente capiscono le preghiere del la Messa. — Veniam
   o ai poeti comici. Il volgo di Roma an-
   (1) Libro VI. Epist. X, della raccolta del Mehas.