capitolo secondo. — l'erudizione. <'>5
il libro De Oratore di Cicerone, restaurava il testo del Quintiliano, giovandosi a quest'uopo dei manoscritti recenteinenti scoperti dal Bracciolini e da Leonardo Bruni.
A questi nomi potremmo aggiungere quello di Ambrogio Traversari, monaco camaldolese e generale di quest'ordine (1), non che quelli di una infinità d'altri minori eruditi unicamente intesi a scoprire, a tradurre ed a commentare gli scrittori dell'antichità. Ma i limiti imposti a questo lavoro non ce lo permettono, e d'altronde anche permettendocelo non potremmo, a loro riguardo, fare altro che ripetere le osservazioni -che abbiam già fatte a proposito del Guarino.
L'opera del ristaurainento della letteratura antica veniva continuata con un ardore sempre crescente e con uno zelo infaticabile. D'eruditi ne son piene le città d'Italia, piene le università, le corti dei Signori e dei Pontefici. Si può difficilmente citare un autor greco o latino che non sia stato emendato, tradotto o commentato da qualche erudito di quest'epoca. E quante difficoltà superate in questo lavoro! I codici erano scarsi, guasti dai monaci e dal tempo, alterati dall'ignoranza degli amanuensi; le trascrizioni, non essendo ancora introdotta la stampa in Italia, erano lunghe e faticose; il prezzo dei libri era ancora molto elevato; uno che si mettesse attorno ad un codice antico allo scopo di emendarlo o di commentarlo, si vedeva privo di tutti quei mezzi secondari che oggi noi possediamo in gran copia. Eppure quelli eruditi riuscivano nel loro intento, e dell'esito andavano debitori spesso a felici intuizioni, ma più spesso a lavor lunghi ed ostinati o ad una erudizione che lor costava la vita intera. — La mancanza di mezzi che soccorressero il loro lavoro solitario, faceva di necessità nascere una specie di lavoro in comune: tutti gli eruditi si mettevano in vicendevoli relazioni fra di loro per rintracciar codici, per comunicarsi la notizia di quelli scoperti, per discutere sull'interpretazione di una parola, sulla realtà di un fatto, sulla veracità di una testimonianza. E dalla necessità di queste mutue relazioni venne la enorme quantità di lettere latine, lasciateci dagli eruditi di questo periodo ; e fu destato un mondo d'ire, d'invidie, d'animosità, di scandali, giunto fino a noi in quelle forme speciali di scritture che si chiamavano Invertiva? e che venivano lanciate in mezzo alla società a vitupero dei propri nemici. Queste lettere e queste invettive hanno, è vero, pochissimo valore quanto alla loro forma, ma sono però la parte viva della letteratura italiana di questo periodo, e contengono rivelazioni preziose di sentimenti e d'idee. « Nessuna storia, dice Settembrini, nessuna opera d'arte meglio di quelle invettive ci potrebbe rappresentare quel tempo. Esse ci rappresentano queir anarchia che era nella vita, quella confusione che il Balbo trova nella storia di quel tempo: (gli eruditi) facevano come ¦ principi che tra loro contendevano, come i papi, gli antipapi ed i concili che si scomunivano fra loro, e spesso mandavano gli scomunicati al carnefice ed al rogo » (2).
Ma non tutti gli eruditi si limitarono, come il Guarino e l'Aurispa, a tradurre ed a commentare gli scrittori «Iella Grecia e del Lazio. Verso la metà del Quattrocento noi ne troviamo alcuni, i quali alle traduzioni ed ai commenti aggiungono
(1) Ambrogio Traversari nacque nel 1386 a Portico nella Romagna dalla famiglia dei Traversari di Ravenna. A 22 anni si fece camaldolese , e nel 1431 diventò generale di quest'ordine. Fu dottissimo di greco e di latino, e servi d'interprete fra Greci e Latini nei Concili di Ferrara e di Firenze. Fu di candidi costumi, e Paolo Giovio dice di lui che fu santo senza rigidezza di volto, sempre soave e sereno, lontano dalle gare e dagli odii. Il Traversari raccolse molti antichi manoscritti; le sue traduzioni dal greco sono quasi tutte di opere dei Padri greci ; il solo libro profano ch'ei traducesse ò la Vita dei filosofi di Diogene Laerzio. Abbiamo ancora di lui un' opera originale intitolata Ifodoeporiron, che è una relazione sui risultati delle visite da lui fatte ai conventi dei camaldolesi per ordine di Eugcuio IV — e moltissime lettere raccolte dall'abate Lorenzo Mehus. Il Traversari inori in Firenze nei 1439.
(2) L. Settembrini — Lezioni di Leti, italiana, terzo periodo, XXX.