DKLLA LINGUA ITALIAN*
3'J
habeo quod dicam, habeo quod andiam : ho da dire, da udire, devo dire, udire; dunque dirò, udirò.
L'ausiliare italiano avere si unì così strettamente come affisso all' infinito, da presentare una forma semplice in apparenza. Amerò equivale dunque ad amare -j- ho. Così per tutte le altre persone del futuro, amerai — amare 4-hai, ecc.
Il futuro esatto od anteriore eantavero. amavero. fu sostituito dalla perifrasi liabere, habeo cantatimi, auditum,ecc., donde in italiano avrò cantato.
Gli altri tempi scomparsi non lasciarono traccio; del più che perfetto indicativo soltanto c'è rimasta la voce: fora.
Circa lo tre persone del singolare e del plurale si conservarono nel trasformarsi dal latino in italiano: le desinenze però furono grandemente alterate dalle leggi fonetiche ed analogiche. Le quattro conjugazioni latine si ridussero a tro in italiano, raggruppandosi nella seconda la seconda latina in ure, e la terza in gre. Oltre queste tre conjugazioni liavvi ancora una tlessione incoativa che compare nelle forme rizotoniche del presente della conju-gazione in ire: finto finisco. Tal flessione è caratterizzata dall'infisso ite e comprende la maggior parte dei verbi in ire. L'infisso è preferito dai verbi recenti e derivati.
Avverbio.
Nel processo evolutivo della lingua latina andò perduta gran parte ielle particelle che per la caduta della consonante finale diventarono così brevi da essere oscuri. Si ovviò a tal difetto per mezzo di composizione e di perifrasi.
Le terminazioni più importanti degli avverbi latini come iter, itus, im, andarono perdute nelle lingue neolatine. Ad esse si sostituirono forme nominali di casi obliqui. In latino fungono da avverbi anche degli accusativi, come domimi rus, vicem, facile, summum, e dativi, come ilio, eo, quo, o ablativi, dextra. rure, domo. Queste forme avverbiali si perpetuarono anche nelle lingue neolatine.
Un altro modo per la formazione degli avverbi fu ottenuto unendo l'ablativo di mens ad un aggettivo, es. : bella-