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Per la storia di un'anima
Biografia di Giacomo Leopardi
Ciro Annovi
S. Lapi Tipografo Editore Città di Castello, 1898, pagine 232

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   ricco greco, ed un'ora e mezza di latino e greco al veneziano conte Papadopoli (II, 26).
   Al conte Monaldo parve questo una cosa umiliante; per cui il figlio dovette spiegargliela, assicurandolo ch'era tutto il contrario. Giacché a Bologna nulla di vile era annesso alla funzione di precettore; anzi quasi tutti i letterati forestieri si chiamavano professori (II, 32).
   Ma anche in mezzo a tali occupazioni, avea sempre dinanzi agli occhi le immagini de' suoi. Carlo poi era all'apice de' suoi pensieri. Gli chiedea notizie, le pretendeva particolareggiate, non sapeva insomma vivere senza di lui. Gli confidava perfino il suo orario quotidiano.
   Si alzava alle 7, scendeva subito al caffè a far co-lezione e poi studiava. Alle 12 andava da Papadopoli e alle 2 dal Greco. Tornava alle 3 e pranzava alle 5 per lo più in casa, perchè sfuggiva gli inviti. La sera la passava come voleva, e alle 11 era a letto. Si capisce che quelle lezioni, interrompendogli gli studi a mezzo la giornata, lo disturbavano assai; ma, fuori di questo, non avea di che lagnarsi (II, 33).
   I letterati, che stavano sull'avviso di doverlo trovar superbo, avevano finito col persuadersi che s'erano ingannati, e si lodavano della sua affabilità, dicendo un gran bene di Lui (II, 33).
   Egli attendeva il Giordani da un giorno all'altro ; e dubitava, o per noia, o pel desiderio de' suoi, o per nostalgia, di dovere, molto probabilmente, tornare a Recanati (II, 35).
   II Bunsen l'assicurava che il Governo pontificio aveva fissato gli occhi sopra di Lui, per impiegarlo degnamente (II, 39). Difatti il Segretario di Stato aveva diretto in proposito una lettera impegnacissima al Legato di Bologua, ad istanza del rappresentante