— 82 —
vine, attestando la caducità delle, cose umane, inducono l'anima a riflettere al loro nulla.
Questo inneggiare all'eterno Vero rivelava nel Poeta il sacerdote dell'Arte.
2. — Da un anno aveva scritte anche le due canzoni: Per donna malata di malattia lunga e mortale, e l'altra Sullo strazio d'una giovane morta col suo portato (I, 246, nota).
Adesso, avendo saputo che monsignor Mai, oltre alle scoperte già fatte di opere antiche nella Biblioteca di Brera, avea ritrovato alcuni frammenti della Repubblica di Cicerone; nel gennaio 1820, gliene scrisse le congratulazioni e gliene domandò copia, per farne oggetto d'un lavoro, pel quale avrebbe richiamato a raccolta le forze che gli rimanevano (I, 243). E in febbraio, sentendosi assai meglio, compose una Canzone ad Angelo Mai. Avendo poi deciso di pubblicarle tutte tre, ne scrisse all'avv. Brighenti a Bologna, cui lo diresse il Giordani che gli era amico, e per mezzo del quale contrattò con uno stampatore per 30 scudi e la carta (I, 246).
L'avvocato Pietro Brighenti di Modena, nato nel 1776, laureatosi in logge nell' Università patria, s'era infervorato delle idee rivoluzionarie della fine del secolo, e nel nuovo assetto politico d'Italia ne aveva avuto impieghi luminosi a Cremona, a Bologna, a Milano, dove nel 1802 era stato più mesi segretario generale di un Ministro. Durante il Regno italico fu undici anni viceprefetto; ed entrato in carriera povero, ne uscì poverissimo. Dopo la ristorazione del 1815, invano sperò l'impiego; e, rimasto abbandonato, visse oscuro e in assoluto ritiro dai pubblici negozi. Professava sana filosofia e morale religiosa, e fu onorato della intimità de' Leopardi e di molte altre egregie persone, le quali riconoscevano in lui il