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hanno creduto e sostenuto che non ci fosse altro modo di scriver bene che scriver prezioso e però dichiararono e dichiarano che tutti quelli che non fanno dei periodi costrutti in quel tal modo e non usano certi vocaboli scelti e non uniscono insieme quei tali aggettivi ricchi e rari, sono persone che scrivono male.
Mi pare che sia venuto il tempo di rompere questa sciocca associazione d'idee e faccio volentieri io questo tentativo, per quanto sappia di espormi al rischio di sentirmi ricordare il Cicero prò domo mea.
Vorrei dunque ricordare ai giovani scrittori italiani che ci sono altri modi di scriver bene oltre lo scriver preziosamente. Vi sono scrittori che non hanno vocabolario ricco — es. i francesi del XVII e XVIII secolo — o che non rispettano la sintassi — es. Cellini — o che non hanno paura di adoperare parole triviali — es. Dante e Rabelais — i quali pure riescono a darti emozioni forti e rappresentazioni efficaci delle cose, della vita e dei moti dell'animo. L'importante è di avere qualcosa da dire — e di sentire fortemente ciò che si vuol dire — e di avere il coraggio di dirlo con ogni mezzo senza stare a calcolare l'architettura delle frasi e la scelta degli epiteti. Se avete un'anima scriverete in ogni modo delle belle cose anche se la vostra lingua è povera e impura e se la vostra sintassi non è perfettamente d'accordo con le regole. Se i letterati preziosi diranno che quelli che fanno così scrivono male, poco importa. Ne verrà come conseguenza che dopo tanti facili artifici è necessario tornare a scriver male.
G. F.