Stai consultando: 'Leonardo Rivista d'idee', Anno 1907

   

Pagina (243/361)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (243/361)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Leonardo
Rivista d'idee

1907, pagine 326

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   SCHERMAGLIA SAKESPEARIANA
   217
   possente, sentimentale e imperiosa, austera e serena. Per questo io credo che pur la migliore delle traduzioni italiane di Shakespeare, letta da lettori che non conoscano lingua e nazione (gli altri, quei pochissimi che sanno, ne avrebbero piacere non bisogno) non suggerirebbe loro che un Shakespeare dimezzato e per cosi dire latinizzato. E mi domando se dato ciò egli non sia per avventura onorato « more in the breach than in the observance ». Anzi, arrivo a domandarmi quanto della sua fama sopravviverebbe in Italia ad una traduzione che lo facesse accessibile a tutti, non quale la tradizione o la necessità scenica o la edizione ad «usum delphini » lo ha finora adattato al gusto latino, ma come egli è veramente, nelle sue crudezze, nelle sue sproporzioni, nelle sue grossolane inurbanità, nei suoi scorci audacissimi, nella sua comicità qualche volta oscena, nella sua ingenuità spesso infantile, nel frasario gonfio, nella musica incantevole del verso. Nel quale le infami freddure e i calembours grotteschi risvegliano non meno che le sottilissime armonie (incomprensibili quelle come queste a chi anche sappia l'inglese come lo sa la media delle persone colte) risvegliano dico alla mente anglosassone un mondo di associazioni di idee, d'immagini, di suggestioni allo straniero invisibili, a quel modo che il microscopio rivela una popolazione nella gocciola di acqua, e il riflettore elettrico nel suo cerchio un mondo. Così come io non credo che certi brividi sottili di latinità che passano nel verso di Dante o del Carducci siaho accessibili anche al più fine e più acuto studioso ed esteta non latino, nego che basti l'inglese letterario e specie quello degli anglofili d'Italia, a capire Shakespeare. Sopra un latino egli necessariamente reagisce il modo troppa differente da quello per cui fu preveduto. Io non credo che qualcuno che non abbia 1' abitudine dirò così organica e meccanica, non solo del pensiero inglese nei secoli, ma e della vita e della lingua parlata e quotidiana dell'oggi attraverso il mondo britannico, da Stratford a Londra, e dal circolo artico al mar tropicale possa illudersi ragionevolmente di capire il gran Guglielmo.
   È vero che egli è il più italiano dei poeti inglesi. Ma non bisogna dimenticare che è anche di questi inglesi il più inglese. È vero che putacaso e' è, per esempio, nella Tempesta un elemento italiano. Ma c'è anche qualcos'altro che non vedrà facilmente fra le linee del testo letterariamente osservato e per avventura tradotto il lettore « terraiolo » : perchè è qualcosa che sta fra le linee di latitudine e di longitudine su le divine pagine del mare aperto. C'è quel che è nell'anima di tutti gli inglesi e di pochis-