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leonardo
differente di concepire le cose da quella che Hegel ha costruito come l'unica possibile e razionale » (1).
Oltre a questo utilissimo ammonimento e grandioso « allargamento di prospettiva filosofica » d'indole generale, esaminiamo più da vicino che cosa ci offre la cultura indiana per appagare i tre principali bisogni contemporanei dei quali ho parlato.
Per il primo, cioè per una nuova « impostazione » metafisica dei più alti problemi, la quale valga a comporre l'intimo dissidio che ci dilania, si può affermare con sicurezza che serve mirabilmente una gran farle dei ¦migliori scritti antichi indiani per la semplice ma categorica ragione che essi sono il prodotto di ima civiltà nella quale questo dissidio interiore non esisteva.
Infatti la caratteristica più saliente della civiltà indiana è appunto l'armonica fusione, spesso perfino l'identità fra religione e filosofia. Quando queste non costituivano un' unica • cosa, esse non erano tutt'al più che due facce, due aspetti di una stessa verità.
Come dice molto bene Rudolf Kassner :
« Sembra.... che in India la stessa anima abbia pensato.... L'indiano pensa perchè egli ama. Il pensiero non è la deviazione, ma la diritta via della sua natura. L'indiano non pensa su questo o su quello, l'indiano pensa la virtù ed il sapore di tutte le cose, egli pensa nel bel mezzo della natura, ed in modo attuale, e non sta sempre col pensiero davanti o dietro alle cose » (2).
E uno spettacolo veramente magnifico quello dello svolgersi attraverso parecchi secoli del pensiero indiano, senza che l'armonia metafisica e religiosa della razza e quella psicologica ed interiore degli individui fosse turbata.
Non occorre dimostrare più oltre quanto l'assimilazione delle opere d' un tal popolo possa aiutarci a ritrovare
(1) Allgemeine Geschichte der Philosophie, I-i, Seite 36.
(2) Der ittdische Idealismus, F. Bruckmann, Munchen, 1903, S. 21.