in quantic maniere non ha capito l' italia 317
anche di coloro che sono immersi nella profonda sonnolenza dell' ignavia o della disperazione.
Ma ecco venire dopo questi pessimisti un meraviglioso ottimista, l'amico o nemico (a scelta) Maio Maf-fii, il quale nel Giornale d'Italia (23 agosto) si meravigliò moltissimo ch'io mi occupassi di dare un'idea fissa all'Italia perchè questa - diceva - uno scopo ce l'ha e ogni giorno più vi si accosta, cioè l'accrescimento della potenza. Ed io gli risposi subito : « se per potenza intendiamo il far molto e il poter far molto, — qualunque cosa si faccia — non c' è paese che non abbia per fine la potenza e si può dire giustamente ciò che tu dici, cioè che l'Italia d'oggi si avvicina ogni giorno di più a una maggiore potenza. Ma si trattava di vedere se l'Italia può avere una parte sua, una funzione propria, un modo più speciale di esercitare sugli altri paesi la sua potenza ». Io so benissimo che oggi gii affari dell'Italia vanno meglio di quelli di vent'anni fa e che l'attività nostra, in generale, è aumentata. Ma appunto perchè questo, per me, non basta, che ho fatto il mio proclama. La parola potenza è troppo astratta e universale e indica troppe diverse cose. La potenza economica, ad esempio, può essere una delle condizioni preliminari della potenza spirituale di un popolo (per quanto non sempre) ma io non voglio che si cerchi quella sola o soprattutto quella. Io voglio anzi che ad essa non si dia tutta l'importanza che gli uomini comuni le attribuiscono e che si pensi di più alle cose dello spirito, alla educazione interna, alla trasformazione del mondo per mozzo della nostra anima. Non può essere il fine particolare e superiore di una nazione ciò eh' è desiderato e cercato da tutte la nazioni di tutti i tempi. Bisogna divenire ciò che tutti gli altri non sono e non sanno essere. Ma cosa fare ? Cosa essere ? Qui vengono innanzi coloro che mi accusano d'imprecisione e sono, lo confesso francamente, parecchi e ci sono fra essi molti di coloro che amo ed ammiro di più.