Stai consultando: 'Leonardo Rivista d'idee', Anno 1906

   

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Leonardo
Rivista d'idee

1906, pagine 390

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a cura di Federico Adamoli

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   Ilo
   LEONARDO
   E, per ciò che riguarda il cosidetto « carattere formale » basti la seguente citazione : « so ist dies (man solle niemals lugenhaft versprechen) eine Regel, die bloss seinen Willen Betrifft ; die Ab-sichten,die der Mensch haben mag, mògen durch denselben erreicht werdeu oder nicht, das blosse Wollen ist das, was durch jene Regel vòllig a priori (!) bestimm werden soli. Findet sich nun, dass diese Regel praktisch richtig sei, so ist sie ein Gesetz, weil sie ein Cate-gorischer Imperativ ist. Also beziehen sich praktische Gesetze al-leinaufden Willen, unangesehen dessen, was durch diè Causalitiit desselben ausgerichtet wild, und man kann von den letztern (als zur Simenwelt gehòrig) abstrahiren, ara sie rein zu haben » (1).
   Questo caratterizza la posizione di Kant come quella di coloro che vogliono deliberatamente far astrazione da ogni eventuale disarmonia che possa derivare dalla imposizione di leggi e massime generali. Egli qui ci appare veramente come un « assolutista ». — come rappresentante cioè di una morale che ha avuto, e ha fino ad un certo punto ancora, grandissima importanza sociale: la morale, in definitiva, di tutte le civiltà consuetudinarie ed autoritarie, fortemente dominate da leggi sottratte ad ogni commento e discussione, e che in ogni tempo segna il prevalere delle considerazioni di disciplina sociale su quelle di trasformazione e progresso. — Il divieto di considerare le « conseguenze » delle norme morali equivale al rifiuto di considerar come eccezioni i casi in cui le norme stesse applicate potrebbero non apparir giuste, e all'eliminazione di ogni discussione intorno alla morale per timore che ne venga così menomato il prestigio. È questo il « segreto di stato » che spiega l'attitudine di molti moralisti conservatori, ma che raggiunge il suo Scopo solo a patto di rimanere segreto. Kant ha avuto il torto di teorizzare quest' attitudine, di rimanerne vittima per il primo, credendo eh' essa corrisponda a qualcosa di più che un espediente pratico, per quanto giustificato e nobile, per ottenere obbedienza dagli uomini. E invece di obliterare, come costoro, i difetti e le imperfezioni, spesso inevitabili, dalle leggi morali, ci ha fornito un criterio per cui tali difetti sono portati in piena luce e ragionando secondo il quale ne deriverebbe conseguenze distruttive per la morale stessa. Se, intatti, non fossero « leggi morali « le massime che chi agisce moralmente vorrebbe veder seguite da tutti gli uomini senza eccezione, si dovrebbe venire legittimamente alla conclusione che le leggi morali non ne possono dare.
   (1) Kr. der i'r. V. I, I, I, § 1, Aum.