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LEONARDO
di compiere l'azione.... che si deve compiere, ossia che pare a questo o quell' « essere ragionevole » di dover compiere, senza darci neppure l'ombra di un criterio per decidere quale essa sia, dal momento che ogni considerazione « empirica » ogni allusione a conseguenze, ogni massima sussidiaria ipotetica, sarebbe dal Kant esclusa. Ed è questa riduzione a totale insignificanza che si chiama « riconoscere il carattere meramente formale dell' imperativo categorico ? Dove allora starebbe la differenza fra ciò che dice Kant e ciò che hanno detto tanti moralisti giustamente criticati per aver poste formole atte ad essere interpretate da ciascuno a modo proprio, e a giustificare le azioni più disparate e contraddittorie ?
« Kant non può aver detto male perchè non ha detto nulla » dicono il Croce e gli altri difensori di Kant. A me pare invece eh' egli, qualche cosa abbia detto, per quanto questo qualche cosa possa non parere accettabile.
Che infatti una tale interpretazione, corrispondente ad una specie di suicidio per disperazione, sia oggi possibile, dopo tutte le critiche di cui la concezione morale di Kant è stata 1' oggetto, è ammissibile : — ma che essa sia un* interpretazione fedele del pensiero di Kant mi pare davvero più che contestabile.
Basta leggere con un po' di attenzione la Critica della Ragion Pratica di Kant e le altre sue opere di morale ; basta considerare gli esempi adottati dal Kant stesso — e gli esempi sono sempre l'indizio più sicuro e meno equivoco di quello che un autore ha veramente voluto dire — per convincersi che il carattere « formale » ch'egli attribuiva al comando morale era bensì la sua indipendenza dalle « affezioni patologiche » di questo o quell' individuo, la sua indipendenza da ogni riferimento a fini determinati all' infuori del proposito di uniformarsi ad una norma « universale n ; — ma non già la totale assenza di ogni contenuto atto ad indicarci quali azioni (— quali categorie d'azioni —) sono doverose e quali no. Al contrario, il Kant — e ciò risulta chiaramente — intende proporci col suo imperativo un criterio, una specie di esperimento mentale da farsi, per distinguere tali azioni dalle altre. Se tale criterio è uno di quelli che si rompono in mano di chi li adopera, non è certo perchè egli non sia stato abbastanza esplicito nell'in-dicarcelo.
Così nella Kritik der Praktischen Vernunft troviamo la for-