L' IMPERATIVO CATEGORICO
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invece quella assolutezza non esclude, anzi include, il variare degli atti morali non solo da epoca, e da popolo a popolo, ma da individuo ad individuo, e ad ogni istante della vita di ciascuno individuo » (pag. 133, n. ).
Come si vede, la questione è sottile ma non per questo meno interessante. Che cosa, anzitutto, ha voluto dire Kant ? Che cosa dobbiamo intendere per massime « universali », e fino a che punto in genere, l'invocare massime universali equivale ad invocare uniformità nei modi di agire di coloro ai quali ci rivolgiamo ? Tutta la questione dei rapporti fra quella che si è chiamata la inorale « assoluta » e quella « casuistica » è qui implicata.
Ecco : io ho sempre creduto che una massima universale dovesse richiedere, sotto pena di non significar più nulla, almeno una certa uniformità nelle azioni, qualche cosa fra esse di comune e somigliante, che le faccia rientrare in certe « categorie d'azioni » determinate. Richiedere massime universali per le nostre azioni significa ritenere che certe categorie d'azioni sono a tutti senza eccezione vietate o permesse; — significa quindi, secondo me, fare astrazione da questo fatto importante : che il valore morale di una azione è atto a variare colla quantità di azioni dello stesso genere che gli uomini per un motivo qualsiasi sono già disposti a compiere.
Questo non è, naturalmente, affatto implicato dal nostro discorso quando parliamo di azioni doverose per tutti, sia pure in « circostanze eguali » ; e i precetti morali ne fanno — per lo più giustamente, dato il loro intento — astrazione ; ma è cosa che non deve egualmente rimanere ignorata al filosofo della morale.
In morale è quindi a mio parere inesatto parlare di leggi universali (se per universali s'intende invariabili qualunque sia il numero degli individui che le seguono) precisamente come, in economia, è inesatto parlare di prezzi invariabili qualunque siano le quantità di merci esistenti in mercato. Questa la tesi, che io ritenevo contraria alla concezione morale di Kant.
Ma no ! una tale tesi è, a quanto pare, del tutto compatibile con l'imperativo kantiano. Se io ho ben capito l'obbiezione del Croce, l'imperativo si presterebbe anche a giustificare l'azione del tutto singola ed eccezionale, non classificabile in nessuna categoria generale d'azioni da approvarsi ; e quindi non raccomandabile in generale a nessuno, ma che in un dato momento appaia doverosa 0 buona ad un dato « essere ragionevole » e sia, secondo lui, da j'npoisi nel caso presente a qualunque « essere ragionevole » come Ul- Vale a dire che l'imperativo sarebbe semplicemente il comando