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LA. SAPIENZA DEL POPOLO
CAPITOLO IV.
La poesia, 1' arguzia
e la sapienza dei proverbi.
Nei capitoli che ancor mi rimangono a scrivere mi studierò anzi tutto far toccar con mano alcune delle qualità più pregevoli onde vanno ornati i proverbi, il loro sale, la loro sapienza, la loro poesia, la loro delicatezza, la loro finezza, la loro filosofia, la loro moralità, la loro teologia. Però, pur trattando dei proverbi, e sono i più commendevoli per queste e simiglianti qualità, non dimenticherò che vi hanno anco proverbi rozzi, egoisti, ingiusti, vigliacchi, crudeli ; massime indegne al tutto dell'onore che implica codesto nome : Regulce quce inter maximas numerari merentur (regole che meritano essere annoverate fra le massime). Leggerai detti, osserva acconciamente Giusti, ora burleschi, ora tremendi e anco tali da farti ribrezzo, e da porti in dubbio se siano frutto d' una severa esperienza che abbia voluto fare accorti gli uomini della loro indole non sempre buona; o piuttosto velenose punture della malignità mossa dai suoi fini torti a deridere e a calunniare l'umana natura. Tu uomo di cuore, come udirai senza fremere : Non far mai bene, non avrai mai male — Il primo prossimo è sè stesso — Parla all'amico come se avesse a diventar nemico — Chi lavora fa la gobba, e chi ruba fa la robba ? ... Però a ognuno di questi proverbi eccotene un altro in contrario: Male non fare, paura non avere — Bisogna fare a giova giova — Chi ha arte ha parte; quasi che la prudenza medesima ti