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23.
La morte nel concetto cristiano.
S. Cipriano Vesc. di Cartagine (200-258) Opuso. De MnrtaJitate.
(San Cipriano, a cura del Sao. Sisto Colombo, C. E. Amatrix, Milano)
Soggiacendo adunque a questa morte corporale, noi entriamo per essa nella immortalità ; non può cominciare per noi la vita eterna se non a condizione di uscire da questo mondo. Non è la morte una fine, ma è un passaggio, un trapasso alle dimore eterne dopo compiuto il viaggio temporaneo. Chi non s'affretterebbe verso una sorte migliore? chi non desidererebbe di mutare e riformare al più presto la propria natura a immagine di Cristo e secondo la dignità della grazia celeste? Secondo l'insegnamento dell'apostolo Paolo «la nostra dimora stabile è nei cieli, donde aspettiamo anche il Signore Gesù Cristo, il quale trasformerà il corpo nostro scadente assimilandolo al suo corpo glorioso » (Filipp. 3, 20 sg.). Cristo Signore nostro promette che tali diventeremo, quando prega il Padre per noi affinchè ci troviamo con Lui a godere nei regni celesti : « Padre, — dice — voglio che quelli che mi hai dati siano essi pure meco là dove io sono, e vedano la gloria che hai data a me prima che il mondo fosse fatto » (Giov. 17, 24).
Colui adunque che è destinato a raggiungere la dimora di Cristo nella gloria dei regni celesti, non deve rattristarsi nè piangere, ma piuttosto deve rallegrarsi quando verrà a questa sua partenza e a questo suo trapasso, secondo la promessa del Signore, e sostenuto dalla fede nelle divine verità.
24.
Il giudizio divino.
S. Agostino Vesc. di Ippona (354-430) Serm. 19.
(S. Agostino, a cura di Mons. E. Logi, Collez. «I Classici cristiani! Cantagalli, Siena).
Fratelli, e noi che faremo in quel giorno terribile, quando il mondo tremerà tutto, scosso dal suono orrendo delle trombe degli angeli, e il genere umano balzerà su dalla polvere della morte? Verrà il Signore, circondato dalla luce della milizia celeste, assiso sul trono della maestà, coi testimoni della coscienza di ognuno, pronti lì ad accusare, a confondere e a condannare.