50 l'arte Quinta — Italia Insulare
comparve davanti Cagliari; il viceré capitolò e l'isola riconobbe il governo di Casa d'Austria.
Alla pace d'Utrecht, nel 1713, essendosi trattato di assegnare un compenso al duca di Savoia, questi aveva chiesto il ducato di Milano per istrappare all'Austria una delle più ricche regioni d'Italia ed interporre tra Francia ed Austria uno Stato forte e moderatore.
Ma l'imperatore Carlo VI tendeva ad accrescere e non a scemare la propria potenza in Italia, e Vittorio Amedeo ebbe la Sicilia, bella e ferace isola ina troppo lontana dai suoi Stati di terraferma, e la Sardegna fu assicurata a Carlo VI che v'inaugurò il suo dominio fra le più desolanti guerre intestine.
t uttavia la Sicilia con titolo regio era un bel vantaggio per Savoia, e Vittorio si accingeva a farvi sparire le traccio d'una dominazione boriosa ed ignorante, quando nel 1717 l'irrequieto cardinale Alberoni - audacemente infrange ndo i trattati — inviava il naviglio spagnuolo ad alzare la bandiera borbonica m Sicilia ed in Sardegna. La diplomazia d'Europa fu tutta in moto per quel colpo di testa e si dovette ricorrere alle armi per far rientrare la Spagna nella legalità; ma la Sicilia non rimase più alla corona di Savoia, ch'ebbe (nel trattato di Londra del 1720) in cambio la Sardegna. Povero cambio, relativamente all'importanza politica ed alle ricchezze della Trinacria, ina di questa ben più solida, più vicina e di più sicuro governo.
La Sardegna contava allora (settembre 1720) poco più di trecentomila anime. Era come spopolata. Le sue entrate scarse. Simpatie per il nuovo monarca, nessuna : vi erano bensì due fazioni, che rimpiangevano l'Austria e la Spagna. La coltura intellettuale era scarsa e in tutta Cagliari non vi era che un solo esemplare del Digesto. Il saper scrivere era titolo onorifico quanto altrove quello d. dottore. Le scienze mediche erano rappresentate dal tlebotomo. Non vi era industria, non commercio, non culto d'arte. Poche le strade e mal sicure. Per contro grandi divisioni feudali, molti privilegi e fiere animosità, che attraversavano i migliori propositi di concordia e d'azione civile.
Vittorio Amedeo non si sbigotti per le difficoltà; ordinò di ridurre le imposte, d'aprire a tutti le carriere, d'introdurre l'uso della lingua italiana in vece della spaglinola, e di rispettare con ogni delicatezza le costumanze del paese.
La monarchia sarda, come la sicula, era fin dal trecento temperata dall'autorità del Parlamento, costituito dal clero, dai baroni e dai deputati delle città. Questi ordini chiainavansi con vocabolo spagnuolo Stamenti; le loro congregazioni solenni prendevano nome di Corti generali. Radunavansi con forme pompose e decidevano liberamente dei tributi o donativi che dovevano pagare alla Corona. In questo avevano potere sovrano, nel rimanente erano puramente consultive. Ogni decennio dovevano radunarsi, ma non occorreva la forma solenne.
Il primo tributo verso il nuovo re fu confermato in sessantamila scudi annui, oltre un presente straordinario di ottomila scudi per i bisogni del regno.
Nel 3 settembre 1730 Carlo Emanuele III salì al trono in seguito all'abdicazione del suo padre Vittorio Amedeo II.
Gli ordinamenti sabaudi crearono dapprincipio dei malumori; ma quando si vide la Corona occuparsi seriamente dell'isola coll'istituzione in Torino di un Consiglio