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Parte Quinta — Italia Insulare
Dionisio diede aneli» mano ad opere monumentali, edificò ginnasi lungo l'Anapo e templi e pubblici edifici civili nella città. A poco a poco gli venne fatlo estendere la supremazia (od egemonia come suol dirsi oggidì) di Siracusa sull'ellenismo di Sicilia e d'Italia, ed acquistare influenza persino nella Grecia ove mandò splendide ambascerie ai Giochi olimpici.
L'importanza delle suddette nuove difese aggiunte da Dionisio a Siracusa apparve chiaramente durante la guerra con Cartagine, la quale ebbe principio nel 397 av. C. In cotesta guerra Dionisio portò in prima le sue armi vittoriose all'estremità occidentale della Sicilia, ma la fortuna gli volse in breve le spalle sì ch'ei fu costretto alla sua volta a rinchiudersi entro le mura di Siracusa confidando nella saldezza delle sue fortificazioni.
11 generale cartaginese Tmilcone entrò con la sua squadra nel Porto Grande e pose il suo quartiere generale nell'Olimpieo non solo devastando il paese fuori le mura ma impadronendosi eziandio di uno dei sobborghi in cui erano situati i templi di Cerere e di Proserpina ch'egli abbandonò al saccheggio. Questa violazione sacrilega fu creduta cagione delle calamità che non tardarono a piombargli addosso. Nel campo cartaginese scoppiò una fiera pestilenza che mietè vittime in gran numero e Dionisio, cogliendo il destro, diede un assalto generale al campo per mare e per terra. La posizione dei Cartaginesi era a un dipresso uguale a quella che avevano gli Ateniesi sotto Nicia: essi occupavano il promontorio di Plemmirione sul quale avevano costruito un forte, fortificando in pari tempo l'Olimpico, o il l'olichne, e costruendo un terzo forte vicino alla spiaggia del Porto Grande per proteggere la loro squadra la quale era ancorata nel seno interno di Dascon.
Ma Dionisio con un assalto improvviso dalla parte di terra, s'impadronì di ambedue gli ultimi forti e riuscì in pan tempo ad appiccar fuoco ad una gran parte delle navi cartaginesi per guisa che Imilcone fu costretto a togliersi giù dall'impresa, e, mediante una capitolazione segreta, assicurò a se stesso e ai Cartaginesi natii nel suo esercito una ritirata non molestata, abbandonando gli alleati e i mercenari al loro destino (Diod., siv, 62, G3, 70-75).
La sconfitta dei Cartaginesi non solamente lasciò Dionisio padrone assoluto di Siracusa, ora più potente che mai, ma anche le città elleniche che avevano prestato aiuto ad Imilcone vennero in poter suo che si estese anche alla Magna Grecia. Il suo governo fu l'espressione compiuta della tirannide greco-sicula. Le tradizioni che corrono intorno a lui e il cosidetto Orecchio dì Dionisio (di cui abbiamo dato una veduta) nella Latomia del Paradiso testimoniano che la sua astuzia, la sua tirannide sospettosa e sanguinaria all'occorrenza sopravvissero più a lungo nella memoria degli uomini dei suoi talenti militari, della sua energia, del suo ingegno organizzatore e della sua forza creatrice.
Dopo la sua morte Siracusa traversò un lungo periodo di confusione e scompiglio. Dionisio II si diede in braccio ai piaceri; suo zio Dione, il cui ideale politico era quello di Platone (il quale si recò due volte in Siracusa per attuarlo) fu sbandilo, ma nell'assenza di Dionisio riuscì ad impadronirsi della città ed a recarsi in mano il potere, finché cadde per mano dei malcontenti. Dionisio riebbe, nel 346 av. G., il potere ma gli bisognò condividerlo con altri; Siracusa fu vieppiù sempre straziata dalla guerra civile e i Cartaginesi ne rioccuparono il porto finché Tinio-leone, invialo da Corinto, sbarcò, nel 344 av. G., in Sicilia. L'isola d'Ortigia era in possesso di Dionisio, mentre il rimanente della città era nelle mani dì Iceto appoggiato da una squadra e da un esercito cartaginesi coi quali bloccava l'isola. Ma l'arrivo di Tirrioleone cambiò in breve l'aspetto delle cose: Dionisio gli cedè volontariamente Ortigia, e Neone, ch'ei vi lasciò qual comandante della guarnigione, con una sortita improvvisa s'impadronì anche di Acradina.