Messina
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forti Castellacelo e Gonzaga a ridosso di Messina già erano stati sgombrati ed occupati, come dicemmo, dai Garibaldini,
Al generale Glary, per non aver sapulo difendere Messina, fu surrogalo il vecchio maresciallo Pergola nel coniando della città, la cui guarnigione fu accresciuta sino a 4201) uomini nell'istesso tempo che lo sgombero di Siracusa e di Augusta veniva contramandato dal Governo borbonico.
Caduta Gaeta, oltre al reprìmere qua e là il brigantaggio, rimaneva ai Piemontesi, o, diciamo meglio, figli Italiani compiere l'unità della patria impadronendosi della cittadella di Messina e di Civitella del Tronto ancora in potere dei Borbonici,
Dopo la convenzione surriferita del 28 luglio 18G0 la prima non era stata esposta a vermi pericolo e il suo presidio veniva regolarmente vettovaglialo dalla città. Molto si era parlato del valore e della fermezza del maresciallo Pergola; tuttavia chi avesse considerato senza prevenzione l'espugnazione di Gaeta avrebbe dovuto tener per fermo che la resistenza della piccola cittadella di Messina sarebbe finita tostochè gli Italiani avessero puntato contro di essa le loro poderose artiglierie rigate.
Fin dal 14 febbraio 18G1, all'arrivo in Messina della notizia della resa di Gaeta, il generale Chiahrera che aveva il coniando delle truppe in quelle Provincie, intimò al maresciallo Pergola, in nome del re Vittorio Emanuele e della nazione, di consegnargli la cittadella. Un cotal modo d'intimazione parve oltracotante al vecchio maresciallo, il quale fece rispondere a voce che considerava la cittadella di Messina come affatto indipendente dalla fortezza di Gaeta e l'avrebbe difesa sino all'estremo.
Ad una nuova intimazione del 17 febbraio accompagnata da comunicazioni su varii particolari che avevano addutto la resa di Gaeta, il Fergola rispose nuovamente il 19 che avrebbe difesa fino all'ultimo momento la cittadella con tutti i mezzi che stavano a sua disposizione.
Il 19 giunse nelle acque di Messina 1' ammiraglio Persano con una squadra. Il Fergola invitò tutti i legni che trovava risi nel porto ad allontanarsi, minacciando di mandare in fiamme la città alla menoma violazione della convenzione del 28 luglio 1860. A breve andare gli Italiani sbarcarono truppe e artiglierie d'assedio e il generale Ciàldini, il vincitor di Gaeta, ch'erasi trasferito a Messina, fece costruire, il 6 marzo, batterie sulle alture a o^esl della cittadella. Il Fergola mandò allora una lettera al generale Cialdini dicendogli che, per le posizioni occupate e pei lavori d'approccio contro la cittadella, essendo slata violata la convenzione conchiusa fra il Medici ed il Clary. ei non si teneva più vincolato ai patti ed avrebbe anche bombardata la città.
Rispose fieramente il Cialdini che bombardasse pure, non potendo per ora impedirglielo ; ammonivalo però che avrebbe poi fatto fucilare sotto i suoi occhi tanti uffiziali borbonici quanti cittadini fossero periti o rimasti offesi nel bombardamento e lui stesso avrebbe fatto impiccare sugli spalti della cittadella quale volgare assassino.
L'S marzo però il maresciallo Fergola aprì il fuoco contro le opere degli assediane ma senza poter cagionar loro, per la distanza, gravi danni nè arrestarli in modo efficace. Il Cialdini temporeggiò sperando che Francesco II manderebbe ordine al maresciallo di arrendersi e consegnare la cittadella; ma non essendo ciò avvenuto sino alla sera dell' 11, la mattina del 12 fece aprire il fuoco mentre la squadra bombardava anch'essa la cittadella e il forte San Salvatore.
Dopo un bombardamento di 4 ore tutti gli edilìzi esterni andarono in fiamme: la guarnigione riparò nelle casematte e l'artiglieria degli assediati issava bandiera bianca per ben cinque o sei volte,