Provincia di Messina
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Orografia. — La provincia di Messina è attraversata in tutta la sua larghezza da est a ovest dalla grande catena di monti che costituisce l'ossatura dell'intiera Sicilia. Codesta catena incomincia dal cupo di Faro, l'antico Peloro (llÉXwpoc), celebre promontorio che forma l'estremità nord-est dell'intiera isola ed uno dei tre promontori che le danno la forma triangolare da cui derivò il nome antico di Trinacria. Esso era nellistesso tempo il punto che proiettavasi più avanti verso la costa opposta d'Italia per guisa che la parte più angusta dello stretto era quella che stava fra capo Peloro e C.aenys (ora punta del Pezzo) nel Bruzio. Riferiscono alcuni scrittori romani che il nome di Peloro gli venne da quello del pilota di Annibale messo a morte per sospetto di tradimento, saltando per tal modo a piò pari il fatto ch'esso era già noto con questo nome ai Greci alcuni secoli prima d'Annibale.
Il Peloro, o capo di Faro presente, è una punta bassa ed arenosa, ma a circa 1 chilometri dalla sua estremità incomincia una serie di colline che ergonsi tosto in monti di non molta elevazione, ma ripidi e vivamente delineati, detti monti Pelori o Peloritani. Proseguono essi in linea ininterrotta alle spalle di Messina presso la quale raggiungono l'altezza di 900 e più metri e fiancheggiano la costa est dell'isola sino presso Taormina, ove piegano subitamente a ovest e slendonsi in questa direzione senza alcuna reale interruzione, finché rappiccansi al gruppo più grandioso delle Madonie. A codesta catena di monti fu dato il nome di mons Neptunms dr Solino (v, § 12), il quale lo descrive come separante il mar Tirreno dal Siciliano. M non v'ha alcuna lìnea geografica reale di separazione fra questi monti e quelli più oltre a ovest noti agli antichi col nome di mons Nebrodes, o monti Nebrodici.
Il promontorio Peloro, o capo di Faro, puossi perciò considerare quale estremità dì un grande promontorio montagnoso formato dalla catena del mons Neptunius e stendentesi dalle vicinanze di Messina a quelle di Milazzo, ovvero, in senso più ampio, da Taormina sulla costa est a Tindari a nord.
Per la sua prossimità a Messina e la sua situazione dominante lo stretto, Peloro fu un'importante stazione navale nell'antichità e come tale il suo nome è mentovato frequentemente nell'istoria. Per tal modo, nel 425 av. C,, quando la squadra ateniese sotto Ladies stanziava a Reggio, i Siracusani e i loro alleati appostaronsi con la loro squadra al Peloro ov'erano anche appoggiati da forze terrestri (Tucid., iv, 25). Nel 396 av. C. il generale cartaginese Imilcone si schierò con la squadra e l'esercito al Peloro e quando i Messinesi, cogliendo il destro del vento nordico favorevole, uscirono fuori per assalirlo, inviò subitamente la sua squadra a Messina che fu sorpresa e conquistata prima che i Messinesi potessero ritornare per difenderla (Diod., xiv, 56, 57). Ancora, durante l'assedio di Messina pei Cartaginesi, al principio della prima Guerra Punica, la loro squadra prese posto al Peloro con la doppia mira di minacciare la città ed impedire ai Romani il passaggio dello stretto (Pol., 1, 11), E in un periodo posteriore, durante la lotta fra Ottaviano e Sesto Pompeo in vicinanza di Messina, il promontorio di Peloro ridivenne un punto importante custodito
il premio del suo coraggio, e che il valoroso marangone, dopo di aver sorpreso gli spettatori col restar per due volte tuffato lungamente nel mare, la terza più non comparisse, trovatosi dopo il suo cadavere alle spiaggie di Tauromina ». Codesta leggenda diede argomento allo Schiller di una delle sue stupende ballate Der Taucher, tradotta da Andrea Maffei col titolo di II Nuotatore, che meglio aveasi a dire II Palombaro.