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l'arte Quinta — Italia Insulare
I fremiti del suolo continuarono tutta la mattina accompagnati dai boati sotterranei ; alle ore 1,20 poni, del di 9 sul lianco meridionale, a metà circa della costa, il monte si è squarciato, e in mezzo a scoppi come di tuono o di artiglieria, con grande sprigionamento di vapori, è cominciata 1 eruzione di lava. La sera, dalla villa pubblica e da tutte le alte terrazze di Catania, si osservava il grandioso spettacolo.
Dal nuovo cratere che lanciava al cielo, mugghiando, globi di fiamme e di fumo sanguigno, scendevano due torrenti di fuoco in direzioni opposte, e la lava strisciando, serpeggiando, ramificandosi, si avanzava, scendendo verso il piano.
II luogo dove si era formato il cratere, detto la Montagnola, è deserto, ma ai suoi piedi stanno ì vigneti ubertosissimi, i pometi, gli aranceti di Nicolosi e Pedara e boschi di castagni e di ciliegi.
Il giorno 11, l'eruzione continuò in tutta la sua violenza; la lava ha percorso più di sette chilometri, occupando una fronte di alcune miglia: in dotto giorno l'abitato di Nicolosi e Pedara non era ancora minacciato, ma il fuoco aveva già raggiunto la regione coltivata, e boschi e pometi ardevano miseramente.
Nella notte, sul luogo dell'eruzione, lo spettacolo era terribile, imponente, e di fronte a questa potenza mostruosa gli osservatori si sentivano annichiliti, sgomenti: pareva di assistere ad una fantasmagoria infernale; ma gli scoppi del vulcano, la pioggia di cenere e sabbia, il colere terribile che emanava da quella immane fornace li richiamavano alla terribile realtà.
A monte Rinazzi, dove era arrivata la lava che scendeva a ponente, il fiume di fuoco si era fatto strada in mezzo ad una selva di castagni e camminava inesorabile, ardendo e divorando tutto. L'onda immensa alta più di 10 metri e lunga un chilometro, si avanzava terribilmente incandescente, illuminando sinistramente la selva; procedeva lentissima, a piccoli tratti, rivolgendosi sopra se medesima, ma senza tregua, girava gli ostacoli, riempiva gli avvallamenti, e si avanzava, si avanzava sempre inesorabile, e nessuna umana potenza poteva opporsi alla valanga di fuoco. Sulla superficie esterna si raffreddava in croste nere che nei movimento rotatorio precipitavano in avanti con rumore come di tegoli, e su questi passava il resto della pasta infuocata.
11 calore che irraggiava era terribile, e a 10 metri di distanza era già insopportabile; la luce che emanava offendeva la vista, e non si poteva fissarla a lungo. Fu una lotta terribile fra la natura vivente e l'elemento sterminatore: all'appressarsi della lava ardente gli alberi si contorcevano, scoppiettavano, fumavano, sibilavano come condannati cui atterrisca il supplizio del fuoco; finalmente divampava la fiamma e questi incendi facevano da battistrada, formando una cintura di roghi al mare di fuoco. Il bosco Rinazzi venne distrutto dentro la giornata dell' 11; dopo toccò la stessa sorte ai vigneti.
Una folla di spettatori accorsi da Catania e dai paesi vicini ammiravano il terribile spettacolo. Erano tutti muti; in tutti i volti, illuminati dai bagliori della lava, si leggeva un comune sentimento: l'ammirazione e lo sgomento. E che bizzarra mescolanza: Inglesi venuti da Acireale, caprai, studenti, carabinieri, preti e alcune signore coraggiose sopra muli
A Nicolosi una quantità immensa di carrozzelle in attesa, in partenza, carovane di viaggiatori a piedi, sugli asini, sui muli; aperte e gremite tutte le botteghe di viveri come in pieno giorno, ed erano le tre di notte, e in tutte le bocche una sola parola: l'eruzione.
Sul far del giorno 12 sulla strada di Catania, mentre la luce dell'alba tingeva di roseo i densi vapori dell'eruzione, facendo impallidire i fuochi vulcanici, arrivava ancora alle spalle dei viaggiatori il rombo minaccioso, come il cannoneggiamento di lontana battaglia.
(Da relazione del Dott. Carlo Dei, Ldwìo).