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La Patria. Geografia dell'Italia
Sicilia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1893, pagine 684

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Oirgenti
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   all'altra delle due parti, ma non volle concedere neppure il passo nel suo territorio a quelli delle altre città. Ed anco quando la fortuna volse recisamente le spalle agli Ateniesi tutti gli sforzi dei parteggiatiti per Siracusa entro le mura di Agrigento non riuscirono ad indurre i loro concittadini a dichiararsi per la parte vittoriosa (Tucid., xii, 32, 33, 46, 50, 58).
   Un pericolo più formidabile era imminente. I Cartaginesi, chiamati in aiuto dai Segestaai, era usi rimasti paghi, nella loro prima spedizione (nel 409 av. G.), della presa di Selìnunte e di Imera; ma nella loro seconda spedizione (nel 406 av. C.) Agrigento era destinata a ricevere il primo assalto.
   Le abitudini sibaritiche degli Agrigentini li avevano resi probabilmente disacconci al maneggio delle armi e alla guerra, ma essi erano difesi da un corpo di mercenari sotto il coniando di un lacedemone di nome Desippo, i quali occupavano la cittadella e la fortezza naturale della città sfidava in gran parte gli sforzi degli assalitori Ma, nonostante codesti vantaggi, furono ridotti dalla fame a tale estremità che divenne loro impossibile resistere più a lungo, e, per evitare di arrendersi al nemico, abbandonarono Agrigento e migrarono a Gela. Gli ammalati e gli inermi furono messi a morte e la città stessa, con tutte le sue ricchezze e la sua magnificenza, fu saccheggiata dai Cartaginesi che vi si acquartierarono durante il verno e ne compirono la distr uzione quando l'abbandonarono nella primavera del 405 av. G. (Dion., xm, 80-91, 108; Sen., TTelL, 1, 5, § 21).
   Agrigento non si riebbe più da questo colpo fatale quantunque, a termini della pace conchiusa con Dionisio dai Cartaginesi, gli abitanti fuggiaschi avessero balìa di rioccupare la città abbandonata e in rovine, sempre però sottomessa ai Cartaginesi ed a condizione di non rialzarne le fortificazioni, balìa di cui molti pare abbiano approfittato (Dion., xm, 114).
   Pochi anni dopo venne anche loro fatto scuotere il giogo di Cartagine e sposare la causa di Dionisio, e la pace del 383 av. G. che fissò il fiume Alico (Platani odierno) quale confine dei domini! cartaginesi, dovette aver loro lasciato il godimento della libertà; ma quantunque noi li troviamo reiteratamente mentovati durante le guerre di Dionisio e dei suoi successori, è evidente che la città non ricuperò la primitiva importanza e continuò nella sua situazione subordinata (Dion.,xiv, 46,88, ecc.; Plut., Dioih, 25, 26, 49).
   Nell'assetto generale della Sicilia per Tinioleone dopo la sua grande vittoria sui Cartaginesi sul Crini isso (fiume Freddo) nel 340 av. G. egli trovò Agrigento in tale stato di decadimento e di depressione che risolse di ricolonizzarla e ripopolarla con abitanti di Elea della Etruria. Questo provvedimento, accoppiato ad altri benefizi, riuscì sì vantaggioso alla città che Timoleone ne fu considerato quale secondo fondatore, e, durante l'intervallo successivo di pace, Agrigento risalì a tale un grado di grandezza e prosperità da ridivenire la rivale di Siracusa.
   Dopo l'assunzione al trono di Siracusa di Agatocle, temendo gli Agrigentini che egli aspirasse al dominio dell'intiera Sicilia, collegaronsi coi Geloi e i Messemi per opporsegli ed ottennero da Sparta l'aiuto di Acrostato figliuolo di Cleoinene qual loro generale; ma il carattere di codesto principe frustrò tutti i loro disegni e, dopo la sua espulsione, furono costretti a chiedere pace a Siracusa riconoscendone la egemonia o supremazia nel 314 av. G. (I)iod., xix, 70, 71).
   Alcuni anni dopo, nel 309 av. C., l'assenza di Agatocle in Africa e i rovesci dei suoi partigiani in Sicilia parvero offrire di bel nuovo un'occasione favorevole alla ambizione degli Agrigentini, ì quali elessero generale Xenodoco ed aspirarono apertamente all'egemonia della Sicilia, proclamando nell' istesso tempo l'indipendenza delle varie città. Grande al principio fu il loro buon successo, le potenti città di Gela e di Enna unironsi ad essi; Erbesso ed Echetla furono prese con la forza delle armi;