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La Patria. Geografia dell'Italia
Sicilia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1893, pagine 684

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Parte Quinta — Italia Insulare
   Dopo i Vespri Siciliani un Parlamento, adunato nel 1282 in Catania, elesse re Pietro IH, re d'Aragona, e Catania divenne la sede ordinaria del governo; ma essa fu stretta più volte da aspri assedii. Nel 1438 Alfonso detto il Magnanimo, figliuolo di Ferdinando I di Castiglia, sopranominato il Giusto, accondiscese alla costruzione di un porto in Catania, allogando a tal uopo la somma annua di lire G376. Il governo spagnuolo accrebbe le fortificazioni servendosi dei materiali dell'antico acquidotto, ma nient'altro fece per Catania.
   L'11 marzo 1G69, dopo tre giorni di tremuoto quasi continuo, si formarono sulla costa meridionale dell'Etna crepacci della lunghezza di G ad 8 chilometri, e vomitarono fuoco e cenere. Nelle vicinanze di Nicolosi, dove ora sono i monti Rossi, si aprirono parecchi crateri, e una incredibile quantità di lava si riversò nella campagna. I paesi circonvicini furono tutti distrutti. In sci ore la lava riempi il lago Nicito e la valle che lo circondava. Il 1G aprile passò sul bastione degli Infetti, e poco dopo coprì le ruine della Naumachia, del Circo e del Ginnasio; poi seppellì i bastioni di San Giorgio e di Santa Croce, circondò le due grandi torri del Castello, e finalmente, il 23 aprile, si precipitò nel mare, su una larghezza di quasi due chilometri.
   Il 30 aprile la lava, che credevasi già solidificata del tutto, crepò al bastione del Tindaro, e si formò una corrente che entrò nel giardino dei Benedettini, e circondò il convento dal lato del nord e di ponente, senza però danneggiarlo.
   La città, circondata da due lati dalla lava, fu approvigionata per mare ed in parte anche per mezzo di potili gettati sulla lava. Ciò che era risparmiato dal fuoco poteva essere appena salvato dai ladri, i quali si mostrarono in sì gran numero, che si dovettero innalzare parecchie forche e tener chiuse le porte della città. In questa triste circostanza tutta la Sicilia si affrettò a soccorrere Catania, ma fra tutte le altre città più generosa fu Messina. Nel maggio tutti i timori erano scomparsi, e si celebrò una festa di ringraziamento che durò Ire giorni. Gli stranieri cominciarono allora a venire a centinaia per vedere da vicino l'immensa devastazione. Carlo II, allora re di Spagna e di Sicilia, esentò Catania per dicci anni da contribuzioni,
   Catania erasi appena riavuta dai danni cagionati dalla suddetta eruzione dell'Etna quando fu sopraccolta da un nuovo e forse più terribile disastro. L'11 gennaio del 1693 un tremuoto spaventevole, che atterrò in pari tempo ben 00 città di vai di Noto, distrusse sì orribilmente Catania che non vi rimasero in piedi che le tre grandi cappelle della cattedrale, il Castello Ursino ed alcune case costruite solidamente. Ben 16,000 persone (due terzi della popolazione) rimasero seppellite sotto le rovine, e i superstiti atterriti volevano ad ogni costo abbandonare la città, ma ne furono dissuasi da alcuni nobili cittadini, l'I luogotenente Lanza, duca di Cumastra, in un col canonico Celestri e il vescovo Riggio, formarono la pianta della città nuova la quale risorse in breve più grande e piC bella.
   I Borboni regnarono in Sicilia un intiero secolo (1759-1S59) abolendo quella costituzione normanna, tanto cara ai Siciliani e rispettata persino dagli Angioini. Durante i trambusti pel cholera nel 1837 Catania e Siracusa fecero alcuni tentativi insurrezionali che furono presto repressi.
   La misera Sicilia piange ancora le crudeltà del ministro Del Carretto; 150 teste furono messe a prezzo. In Catania, nella piazza della Statua (oggi dei Martiri), diversi cittadini venivano fucilati a suon di tamburo, cioè: Salvatore Barbagallo Pitta, Giacinto Pinnetti, Giuseppe GauduUo, Angelo Sgroi, Giuseppe Gaudullo Guerrerà, G. B. Pensabene, Sebastiano Sciulo Nicotra, Gaetano Lanza e Gaetano Mazza glia. Una lapide rammenta ora in quel luogo il nome di questi martiri della libertà.
   Si ripresero nuovamente le armi nel 1848, e Catania fu tra le prime; ma l'eroismo di pochi non potè prevalere alla forza preponderante ed all' infamia dei traditori. Questa volta ancora la voce dei Siciliani fu soffocata, e i Borboni vi commisero atti