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La Patria. Geografia dell'Italia
Sicilia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1893, pagine 684

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   _22 Parte Quinta — Italia Insulare
   Mandamento di GANGI (comprende 2 Comuni, popol. 15,841 ab.). — Territorio dei più fertili fra quelli di vai Demone, principalmente di grano; buoni pascoli e molto cacio, di cui si fa commercio d'esportazione.
   Gangl (12,058 ab.), — Sorge sul monte Marone, la cui vetta era difesa da una grande fortezza, di cui sopravanza una torre, in situazione saluberrima, a circa 31 chilometri dal Tirreno e 40 da Gefalù. Nella chiesa maggiore ammirasi una gran tela rappresentante il Giudizio universale, che reputasi una delle migliori opere di Giuseppe Salerno, detto lo Zoppo di Ganci. Nello vicinanze è una selva, detta dei Cappuccini, in cui si ergo una torricella che credesi edificata dai Saraceni. Alcuni pochi chilometri a sud, sul luogo occupato da un convento Benedettino, stava una città più antica del medesimo nomo, distrutta nel 1299 da Federico li per la ribellione di Francesco Ventimiglia, feudatario. A sud-ovest, presso Gangì, scaturisce il ramo principale del Salso (Imera meridionale), col quale si riunisco poi il ramo di Polizzi.
   Declinando verso sud-est la strada per Nicosia traversa i pendii settentrionali di monto Fruilino in mezzo a feracissimi campi di grano e giunge al villaggio di Sper-linga, con 2000 abitanti, e un castello pittoresco sopra un'alta e scoscesa roccia. Sperlinga ha una triste notorietà nella storia della Sicilia per non aver voluto pigliar parte all'eccidio dei Vespri, ed aver anzi dato asilo ai Francesi cercati a morte, di che sulla porta del castello suddetto leggesi il verso seguente in latino : Quod Sicidis placuit sola SperUiiga negavit (Quel che piacque ai Siciliani fu negato solo da Sperlinga).
   Cenni storici. — Credesi l'antica Enguium od Eugyum (T/f/uov), Engio o Gangi Vetere, città rinomata nell'antichità pel suo tempio della Magna Ma ter. Narra Diodoro che la città fu fondata in origine da una colonia di Cretesi sopravvissuti alla spedizione di Minosse, rinforzati dopo la guerra di Troia da un nuovo corpo di coloni del medesimo paese sotto Merionos (Diod., iv, 79).
   La stessa tradizione è riferita da Plutarco, il quale aggiunge che vi si mostrano sempre in conferma avanzi di Merionos e di Ulisse (Plut., Marc., 20). Ma è certo che nei tempi storici non era una colonia greca, nò se ne trova menzione nella storia sino al tempo di Tirnoleone, quando le due città d'Engio e di Apollonia erano soggette ad un tiranno di nome LeptineJ che fu espulso da Tirnoleone, e le città riebbero la loro indipendenza (Diod., xvi, 72).
   Durante la seconda guerra Punica Engio fu una delle città che sposò con ardore la causa doi Cartaginesi, e fu per conseguenza minacciata di severo castigo da Marcello, il quale però la risparmiò ad istanza di Nicia, uno de' suoi cittadini principali (Plut., Mar., 20).
   Di Engio non occorre altra menzione nella storia : al tempo di Cicerone appare quale una città municipale e rinviensi anche nei cataloghi dati da Plinio e da Tolomeo delle città della Sicilia, ma da quel tempo ne scomparisce ogni traccia (Ciò., Verr., ni, 43).
   Dico Plutarco che essa non era una città grande, ina antichissima e celebrata a cagione del suo tempio, detto anche da Cicerone augustissimum et religiosissimum, fanum. La sua rinomanza è sufficientemente dimostrata dalla circostanza che Scipione Africano vi fece molte offerLe, fra le altre, armature di bronzo e vasi di superbo magistero, cose tutte rapite dalle mani rapaci di Verre (Cic., Verr., iv, 44, v, 72).
   Cicerone chiama la divinità a cui era sacro il tempio Magna Mater e l'identifica distintamente con la Mater Idaca; Plutarco e Diodoro al contrario fanno menzione delle Dee al plurale, alle Ss-A Ma-reps;, come le Uccie Matres dei Romani. È probabile che il loro culto fosse di origine pelasgica e le tradizioni che derivavano la fondazione