Taranto
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oltrepassasse il promontorio Licinio (ora capo delle Colonne). Il trattato fu perciò apertamente violato, nel 302 av. C., dai Romani, quando una loro squadra di dieci legni da guerra, sotto il comando di L. Cornelio, inviato in aiuto dei Turioni, entrò nel golfo di Taranto e giunse persino in vista della città. I Tarantini — le cui ostili disposizioni erano già note in parte e ch'erano stati, buccinavasi, i primi ad organizzare la confederazione contro Roma che addusse la quarta Guerra Sa unifica — assalirono immediatamente le navi romane, ne all'ondarono quattro e ne catturarono una. Di ciò non paghi, assalirono i Turiani per aver chiesto l'aiuto dei Romani, espulsero la guarnigione romana ed impndronironsi della loro città, Turio.
E qui ci sin lecito proseguire, giovandoci della narrazione drammatica del Lenormant (La Grande-Grlce, voi. 1, p. 4S). Era la guerra ed una guerra di sterminio. Ma, checché abbiano scritto incontrario gli storici romani interessati, la ragione e il buon diritto erano dalla parte dei Tarantini. Il Senato romano imiò tosto ambasciatori a Taranto a chiedere con alterigia scuse, indennità ed estradizione degli autori dell'esplosione nazionale e dell'assalto contro la squadra romana. Il Senato di Taranto rispose con calma e dignità che esso non cercava la lotta, ina che si manterrebbe sul terreno dei trattati. La decisione in ultima istanza 11011 esser di sua competenza, sì dell'assemblea popolare convocata, secondo la consuetudine, nel teatro.
Pretendono gli storici romani, Appiano, Zonata, Dione Cassio, ecc., che, esposte che ebbero le pretensioni del Senato romano, gli ambasciatori furono lischiati dalla folla e che il capo dell'ambasciata, L. Postulino — a cui un briaco aveva insozzato, nel buio del corridoio, la toga — esclamasse: Ridete ora, ma il vostro sangue laverà questo oltraggio! Ciò è possibile da parte di una popolazione fuori di sè e, se fosse vero, i Tarantini avrebbero commesso un atto riprovevole, non rispettando il carattere sacro degli ambasciatori. Ma vuoisi osservare che noi non possediamo qui che la versione romana dell'accaduto, la quale mira a denigrare i Tarantini e che gli storici romani non vanno sempre d accordo intorno alle circostanze del fatto. Checché ne sia, dopo il mal esito dell'ambasciata, il Senato romano dichiarò solennemente la guerra a Taranto.
La causa di Taranto era la causa di tutta l'Italia meridionale, di cui la sorte pendeva da questa guerra. Perciò Taranto divenne l'anima di una coalizione, che raccolse Greci ed Italioti, dimentichi delle loro lotte antiche, in uno sforzo comune contro l'ambizione di Roma. Tutte le città elleniche della Magna Grecia ne fecero parte, in un coi Bruzii, coi Lucani e con gli ultimi avanzi delle vecchie bande sanniticlie. I confederati avanzaronsi contro i Romani sino alle sponde del Liri. Prima della battaglia, il Senato, volendo mostrare la sua moderazione, fece loro intimare per l'ultima volta di porre giù le armi e di dargli soddisfazione. L'intimazione non fu ascoltata e la fortuna arrise, sul campo di battaglia, ai Romani. Nonostante la loro energica resistenza i coalizzati toccarono una sanguinosa sconfitta che li respinse nella Lucania, ove i Romani tennero loro dietro.
A tal nuova i Tarantini si sgomentarono e, seguitando la loro politica antica, chie-seso aiuto a Pirro, re dell'Epiro, che aveva fama di generale abilissimo. Pirro tenne prontamente l'invito e, nel 281 av. C., uno dei suoi generali, Milone, sbarcò a Taranto con un'avanguardia di 3000 nomini ed occupò l'acropoli. Frattanto il console romano, L. Emilio Rarbula, abbandonava, con gli ostaggi presi, il territorio tarantino e ntraevasi dall'altro lato delle montagne.
Al principio del 280 av. C., Pirro stesso sbarcò in Italia con un esercito composto di 20.000 fanti, 2000 arcieri, 500 frombolieri, 3000 cavalieri e 20 elefanti. È vezzo tacciare i Tarantini di effeminatezza e di avversione alle armi ; la migliore risposta a questa taccia calunniosa, tramandata di secolo in secolo, è il modo con cui combatterono. Se non si segnalarono alla battaglia di Eraclea, in cui Pirro non volle schierare che i suoi Epiroti ed i suoi mercenari, ìllustraronsi in quella d'Auscutum, in cui posero