l'arie Quarta — Italia M criil un in lo
Nel recinto della cittadella — costruita, secondo Michele Amari, da ingegneri arabi, il che è (tosto in dubbio dui Givgorovitis possiamo raffigurarci la piazza d'anni, la caserma, gli arsenali, le fabbriche di ogni specie ed anche le moschee. In seguito si saranno andate via via dilatando anche fuori, a guisa di sobborghi, le abitazioni dei Saraceni e la colonia governata dal cadi di Lucerà vuoisi comprendesse lill.llUO abitanti, trasformando, conte dice il La Farina nella sua Storia il' /tal in, < l'antico paese dei Sanniti in una provincia dell'Oriente >. Protetta da Federico, la colonia (livellile 1111 centro d'attività industriale; i Saraceni avevano recato con sé dalla Sicilia gli elementi e le nozioni di varie industrie ed in tal modo sorsero in Lucerà fabbriche d'armi, telai ed olliciue di ottimi lavori in legno.
Quanto alla vita di monarca asiatico, che menava Federico li nella cittadella, essa violi così descritta dallo storico francese Alexis de Saint l'riest nella sua bella llìstoire ile la conqnétc de Xaples: < Entouró d'odalisqnes et d'almées; doiniaut des eiiuuqiies polir gardiens à sa feiunie, la belle Isabelle Plautageiict, la fille des rois d'Augleterre; souvent revétu de robes orientales; à la guerre, monte sur un élcpliant; daus sou palais, entouré de lions apju ivoisés ; toujours accompagnò d'une troupe de Mussnl-inans; indiilgent ponr eux; dispose à leur permettre la violation des églises et le vini des femiiies, la débauché et le sacrilego. Frédcric li, dans l'opinion de ses snjets, n'était plus un prince chrétien >.
Oggi ancora additasi il luogo deH'/wcw imperiale, ben provveduto e custodito da eunuchi. Egli vi aveva il suo tesoro (camera fiscali*) e da Naftoli vi fece trasportare statue, a spalle d'uomini, e vi collocò le ligure in bronzo < di un nonio e d'una vacca che versava acqua dalla bocca >, rapite a Grotta ferrata allorché assediava Roma nel 1:113 dai monti Albani.
Anche dopo la morte di Federico 11, prosegue il Oregorovius, i Saraceni si mantennero fedeli agli Svevi e ad essi soltanto andò debitore Manfredi d'avere potuto salire sul trono del padre suo. La sua splendida ed eroica carriera ebbe principio in questa fortezza di Lucerà, ove riparò nel novembre del 1251, dopo l'ardita sua fuga da Aversa a traverso le montagne del Saunio. I Saraceni lo accolsero giubilando, lo condussero nella fortezza e lo proclamarono loro signore. Di là velinogli fatto di sloggiare i nemici — che lo chiamavano il Sultano dì Lucerà — dalla vicina Foggia e quindi da l'roja, donde Guglielmo Liesclii, cardinal legato, fuggi a Napoli presso il papa.
Nella fatai battaglia presso Benevento i Saraceni caddero a migliaia combattendo valorosamente contro Carlo d'Angiò e Manfredi, prima di scendere in campo, aveva affidato alla guarnigione della cittadella di Lucerà la sua bella e giovane moglie F.lena di Epiro ed i suoi figliuoli. In Lucerà fu recata all'infelice la nuova della morte gloriosa del marito ed ella, disperata e priva di consiglio, fuggì coi figli a Traili per imbarcarsi e porsi in salvo nell'Epiro. Ma il castellano della fortezza di Traili li diede perfidamente in mano a Carlo d'Angiò, il quale li fece languire per anni ed anni in prigione, ove morirono come già abbiamo narrato altrove.
I Saraceni di Lucerà si sottomisero a patti all'Angioino; ma non appena il giovane Corradino scese, nel 12(57, in Italia, Lucerà ridivenne il centro, la base e il baluardo dei Ghibellini nel mezzogiorno d'Italia. Spinto dal papa, Carlo d'Angiò venne, nell'aprile del l2tiS, iu persona dalla Toscana nelle Puglie per sottometter Lucerà; ma fu costretto a levar l'assedio per muovere contro Cumulino, vinto il (piale Lucerà fu di bel nuovo assediata. I Saraceni si difesero strenuamente, tinche la faine li costrinse ad arrendersi. Rimasero però in Lucerà, nonostante una seconda insurrezione (li cui furono crudelmente puniti, per la ragione che. l'Angioino riconobbe l'importanza di quella colonia di prodi. Ei fece anzi munire vieppiù semin e la cittadella e gran parte delle mura e delle torri, esistenti tuttora, sono dei tempi di Carlo I, il quale vi custodì, pome Federico, il proprio tesoro.