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inarittiiii.i dal jironioiitorio di monto finivano i< dal golfo ili Manfredonia, a Ilari ed a Monopoli, Rai-letta, Andria, Traili, IliM-oglie, t'orato e Rnvn, biancheggianti in lontanali/.!, e Imrrlii' peschereccie e navi veloL'gianti sull'azzurro Adriatico. Ad ovest le nspn- montagne della Rasìlirata, o provincia ili Potenza, e il bel cono dell'estinto viib ano «li monte Vulture, con a sud la liinga e bassa catena delle Murgie. I vigneti formano qua e la brune macchie nel paesaggio, e le cosidette Cu srl Ir rassomigliano migliaia di tende arabe disseminate per la campagna, la quale é intersecata (In lunghe linee giallognole di strade diritte, che vanno da una città all'altra, licn a ragione Castel del Monte fu soprannominato il DArederf e la Spiu (irlie l'wjlie.
Castel del Monte, sontuoso eastel di caccia al falcone del grande Ibdienstaufen, era destinato a divenire la prigione dei figlinoli infelicissimi di Manfredi e di Elena. Strappati in tenera età (il maggiore, Enrico, non aveva che 4 anni) all'amore della loro madre, vestiti e nuilriti come mondici, abbandonati e dimenticati da tutti, vissero o piuttosto languirono lassù molti anni; tinche, in capo a ventiline anni, Carlo II d'Angiò si risovvenne di loro, ed esiste ancora un suo rescritto ordinante clic non si lascino morir di fame. Nel giugno dell'anno successivo 12U'J furono trasferiti a Castel dell'Ovo iu Napoli, ove la loro sorella Beatrice era rimasta carcerata per lungo tempo.
La fine di questi principi infelici è avvolta nel mistero; secondo una tradizione Federico ed Azzolino morirono prima del loro fratello maggiore e furono seppelliti a Cannsa, ove additanti quai loro Sepolcri due semplici lapidi in pietra, non lungi dalla tomba di Roemondo. Un'altra leggenda dice che Federico fuggì dal castello e andò in Egitto. Enrico il maggiore viveva ancora, a quel che pare, nel Liti'.) prigioniero in Castel dell'Ovo, ove vuoisi morisse cicco e vecchio durante il regno ili re Iìoberto.
La loro madre, Elena d'Epiro, fn rinchiusa nel castello ili Xocera, fra Salerno e Castellammare; Carlo d'Angiò non assegnò che 40 oneie d'oro all'anno pel suo mantenimento, dopo averla spogliata di Corfii e dei suoi legittimi possessi in Grecia. La povera Klena morì nel febbraio del 1271 a 2!) anni e non vi ha traccia della sua tomba in Xocera, ove il castello, in cui languì per tanti anni la bella ed infelice consorte di re Manfredi, è un mucchio di rovine. L'inventario di quel che lasciò, consegnato dal suo carceriere, Enrico Della I'orta, al re di Napoli, porge testimonianza della miseria, in cui visse e morì. Tutto vi è qualificato conxnmptum rt cetnslum.
Onta alla memoria dei primi Angioini! Se non avessero spodestata e spenta bar-ltaraiiieute fa stirpe nobilissima degli Ilohenstanfen, il inondo avrebbe, fatto rapidi progressi sociali ed intellettuali.
L'università di Napoli fn fondata, regolata e largamente dotata dal gran Federico, il quale ave va fatto larga incetta di libri in Oriente ed invitati i dotti a fare traduzioni dall'arabo e dal greco in latino, fra gli altri il cosidetto nnigo Michele Scoto, la cui traduzione ili Aristotile fn fatta per ordine di Federico. Narra Pier delle Vigne che questi era appassionato degli studi filosofici e ili erudizione, ai quali consacrava tutto il sito tempo avanzato. Scoltura, fattura, architettura, musica e poesia, tutte le belle arti erano da lui protette e sussidiate, c la sua splendida Corte fu, si può dire, la culla della lingna italiana.
Come legislatore Federico merita ammirazione illimitata. Fi si sforzò di abolire la tirannide fendale e di porre un freno all'invadente dominio clericale. Le Coit.di-lutimir* Siaila* sono nn monumento indistruttibile della sua saviezza politica. Egli abolì YAlhinayr/in, in forza del quale il fisco succedeva nei beni immobili, posseduti nello Stato da un forestiere morto senza lar testamento. Furono anche abolite tutte le Corti speciali dei granili baroni feudali e de.'li aiti ecclesiastici e, tranne i casi dì maritando, non fu riconosciuta alcuna legislazione separata del clero sul laicato. Gli appelli a Roma furono permessi soltanto in materia ecclesiastica e le immunità