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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincie di Avellino - Benevento - Caserta - Salerno
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1898, pagine 416

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   2'JO
   l'arte Quarta — Italia Meridionale
   coi loro archi i muri (lolla maggioro, su cui poggia il soffitto; in ciascuno di codesti pilastri sono chiuse sette colonne di marino che, per dare più saldo sostegno alle vòlte, vi fece porre il Poerio, il quale rimosse anche i sesti acuti e tutto ciò che eravi di gotico nella cattedrale.
   A mezzo quasi della maggior navata sorgono due vaghe bigoncie sorrette da belle colonne marmoree : quella a destra ne ha dodici e quattro l'altra, di cui le due davanti di bel porfido nero. Vi si ammira anche in alto un candelabro lavorato a mosaico. Segue il coro e in fondo l'aitar maggiore e tanto lo spazio fra le due ali del coro, quanto il pavimento della crociera e le sponde laterali dell'altare sono in vaghissimo mosaico.
   Le due cappelle ai lati dell'aitar maggiore sono meritevoli di attenzione, così pei dipinti come per illustri memorie. Quella a destra fu fondata dal celebre eroe dei Vespri Siciliani, Giovanni da Precida, che espulse da,Ila Sicilia i Francesi e divenne poi cancelliere sotto Pietro d'Aragona. La cupola, di stile bisantino, è leggiadramente lavorata a musaico restaurato da Pio IX, ed ha un altare di legno e di avorio, il musaico rappresenta VArcangelo San Michele che copre con le sue grandi ali distese parecchi santi. Credesi che re Manfredi (di cui il Procida fu medico ed amico) sia rappresentato sotto la forma di San Fortunato, vestito nello splendido abbigliamento degli imperatori senza la loro corona e con nella mano sinistra una bianca croce latina. Giovanni da Procida vedesi in ginocchio davanti l'immagine di SanMatteo coU'ìsertzione:
   Hoc studiis magnis fecit pia cura Johannis De Procida, dici meruit quae gemma Sfatemi,
   La sua fisionomia nulla ha del carattere elevato e della nobile espressione che dovrebbe rivelare il liberatore della patria, l'eroe dell'indipendenza siciliana. La sua fronte è bassa, l'occhio piccolo e l'insieme dei suoi lineamenti esprime l'astuzia, la finezza e la circospezione.
   Per un caso singolare, nella stessa cappella del partigiano e vendicatore della casa ili Svevia, ch'egli odiò sì cordialmente, sorge sopra un'area la statua maestosa di Gregorio VII (il gran papa Ildebrando), espulso da Roma da Arrigo IV ed accolto da Roberto Guiscardo a Salerno, ove mori nel 1085 pronunziando quelle parole memorabili: Dilcxi justitiam et odivi iniquitatem ; propterea moria a in exìlio. Guiscardo, che morì due mesi dopo, gli rizzò un monumento e Pio IX gliene fece erigere un altro allato con la suddetta statua, trasportandovi le ceneri del suo grande predecessore. Presso la tomba primitiva di Gregorio VII, canonizzato da un altro papa, Gregorio XIII, e stranamente decorata con un antico rilievo del Batto di Proserpi).a, e il sepolcro del cardinale Caraffa che volle esser sepolto « dove Gregorio VII, vigil custode della libertà ecclesiastica, lo protegge sempre comecché sepolto ».
   Nell'altra cappella a destra dell'aitar maggiore si ammira un dipinto commovente di Andrea da Salerno, rappresentante il Cristo morto con la madre Maria, che lo piange al cospetto di tre uomini.
   Nella navata sinistra ammirasi il bel mausoleo della regina Margherita di Lurazzo, moglie di Carlo III, scolpito da Antonio Bamboccio nel 1412. Gli angeli sollevano la tenda per far vedere la regina dormente, la quale è effigiata di bel nuovo in fronte al sarcofago seduta in mezzo alla sua Corte.
   in vicinanza è la tomba di Sigilgaita, seconda moglie di Roberto Guiscardo, col figlio Ruggiero liursa e il nipote Guglielmo, in cui si estinse la linea di Guiscardo. Fu questa la sorella imperiosa di Gisolfo principe di Salerno (per cui il gran Normanno ripudiò la sua gentil prima moglie Alberada), la quale combattè strenuamente contro i Greci a fianco del marito, di cui fu però accusata di aver affrettata la morte per mezzo del veleno. Narra Oderieo Vitale che allorquando suo figliastro Boemondo tornò ferito dalla Grecia e fu inviato dal padre presso i medici salernitani, Sigilgaita risolse di avvelenarlo. Boemondo, sentendosi in fin di vita, mandò pel padre, il quale chiese alla