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Parte Terza — Italia Centrale
Fara si attribuisce ai Longobardi e da una voce, pure longobarda, si fa derivare il nome suo. Molto probabilmente preesisteva ai tempi longobardi e dovette essere originata dalle genti di Curi.
Fara è una piccola ma ben fabbricata cittadina, all'altezza di 4SI metri dal livello del mare, su di un monte isolato della Sabina meridionale. Ciò che rende rinomato questo paese è la celebre
Abbazia di Farla. — Trovasi a nord-ovest e al piede del monte di Fara, a 3 chilometri di di stanza dal capoluogo. L'abbazia componesi di molti fabbricati, oggi alquanto deteriorati, clic nell'insieme assumono la forma di nu castello. Fu fondata nel 420 da S. Lorenzo Siro clic in quel tempo venne in Italia con la sorella S. Susanna, e fatto vescovo sabinese, rinunziò a tale carica, fondando invece l'abbazia, unitamente ai suoi discepoli Isacco e Giovanni, nella valle Acu-zicina, od Acazia, sotto il monte Mutella. L'abbazia fu dedicata alla Vergine. Nel 430 la fabbrica era compiuta, e stando allora nel ducato spoletano, era sottoposta ai principi longobardi
Nel 505 fu distrutta dai Longobardi e in tale stato rimase sino al 072 in cui San Tommaso savoiardo, monaco fuggito da Montecassino, dopo la distruzione di quel famoso monastero, ebbe ispirazione di restaurare il tempio Farfense e con gli aiuti e i mezzi somministratigli da Faroaldo duca di Spoleto, potè in cinque anni condurre a termine i restauri e le nuove costruzioni. Giovanni VI mosse da Roma per consacrare la novella chiesa cui confermò varie precedenti donazioni, amplificate poi nell'anno 832 da Gregorio VI.
Primi a favorire il monastero Farfense furono i duchi di Spoleto, trovandosi nei documenti che Lupo donasse nel 746 il Losco detto di San (Uà-cinto. Nell'istesso anno, Bona, pia femmina, donava ciò che era di sua proprietà, nel fondo detto Fornicata, e nel 749, Tendemondo e Aliniano fecero donazione di allri immobili e fondi rustici. Lupo concesse altresì il monte Alegia, ai monaci, con altri fonili situati nel territorio di Rieti. Regnante Aistolfo, l'abbate Rotari ed Illa sua moglie donarono, nel 753, alcuni loro beili al monastero, c nel 757 Pandone, notaio, regalò un casale detto Nempino e un campo detto Ameliano, situato in Massa salaria. Gisulfo duca, donò nel 761 ad Alano abbate, il gualdo di Sant'Angelo nel Cigolano e Desiderio re conformò questa e tutte le precedenti clonazioni. Teodicio che successe a Gisulfo donò nel 763 la decima delle corti clic aveva in Amiterno, Interocro, e le corti comprendevano molti terreni, case coloniche e chiese. Questi beni furono però gravati per ordine di Jacopo Cantelino vicario in Roma ili Carlo I, ed 1 cardinali presero questo provvedi mento inviando al Cautelino il nunzio Bernardo Langusello notaio della Santa Sede. E troppo lungo sarebbe se volessimo enumerare tutte le donazioni che fu-
rono fatte al monastero da Ansilberga o Isilborga, figlia di Desiderio, da Ilderico Castaldo di Rieti, nell'anno 814, da Crifone nell'anno successivo, da Tendemondo di Teoprarido, nell'822, e da altri molti. Nel 772 Ubaldino da Rieti si dette alla vita monastica, donando al convento ed assoggettandogli tutti i suoi beni.
Tante cospicue donazioni ingrandirono la abbazia Farfense cui Carlo Magno, nel 775, conformò tutte le donazioni, con diploma rilasciato da Vicenza. Lodovico Pio, imperatore, iiell'820 confermò la concordia tra Sigualdo vescovo di Spoleto ed Ingoaldo abbate di Farfa, per discussione insorta perduechiese. Negli Annalid'Italia del Muratori (t. v, p. 2a, pag. 72; viene riferita la conferma dì tutti i privilegi conceduti al monastero, fatta da Berengario Vi. Sotto Lotario re d'Italia, abbattuto il monachismo, andò in rovina il monastero di Farfa e l'abbate Roffredo fu avvelenato dai monaci ribelli Ildebrando e Campirne.
Alberico de' conti Tuscolani, figliodella celebre Marozia, riformatore del monachismo, piando monaci a Farfa, i quali non ricevuti e male trattati da Campone, se ne tornarono ad Alberico. Questi, sdegnato, spedi armati a Farfa, e Campone dovette riparare a Rieti. Pare che il monastero e la Sabina facessero allora parte del durato di Roma.
Insorte controversie per certe possidenze, fu tenuto un placito da Pietro vescovo di Pavia e dal conte Tondino, nel 984, e l'abate farfense Giovanni seppe rivendicare i diritti del monastero. Ottone 111 si mostrò assai favorevole al monastero, come rilevasi da un suo diploma del 998. Nel 1106 ne assunse la protezione Guarnieri marchese e duca anconitano.
Da certe memorie rilevasi l'esteso potere dei monaci farfensi i quali possedevano, nel territorio di Fermo, la corte di Rubbiano e varie altre corti e castella; Lentisco nell'agni Marrucino; Officia nella diocesi di Ascoli e40,000 moggia di terreno nello stesso territorio ascolano. Anche il castello di Fara fu dei monaci.
Ai tempi di Leone IX, circa il 1050, il monastero fu di nuovo distrutto, come rilevasi da un codice della Vaticana ; ma presto tornò in fiore e fu restaurato pochi anni appresso e di amplissimi privilegi fu onorato.
Nel 1400 il monastero fu stabilito in commenda da papa Bonifacio IX, a favore di Francesco Tomacelli suo nipote ed allora il governo