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l'arte Terza — Italia Centrale
L'ultima volta in cui il nome (li Sabini, come popolo, rinviensi nell'istoria è durante la seconda Guerra Punica, quando si trassero innanzi iu un corpo a somministrar Volontari all'esercito di Scipione (Liv., xxvm, lo). Dopo la loro incorporazione nello Stato Romano appena s'incontra qualche notizia separata di essi, quantunque continuassero ad essere considerati fra i più prodi e costanti sudditi di Roma, di che Cicerone (Pro Ligar., 11) li chiama flore,m Itahae ac robur rei publicae.
Sotto l'Impero il loro nome non continuò neppure ad essere adoperato qual designazione territoriale e il loro territorio fu compreso da Augusto nella IV Regione, e sotto il nome di Picemm ricorre nel Liber Coloniarmn (Mo.mmsf.n, Ad Lib. Cui., p. 212). Ma, quantunque il nome di Sabini scomparisse per tal modo dall'uso ufficiale, continuò però sempre nell'uso popolare, ed è quasi l'unico esempio 111 cui l'antico nome di una regione d'Italia sia pervenuto, senza alterazione, sino ai dì nostri. La Sabina formava, infatti, una delle dodici Provincie in cui erano divisi gli ex-Stati pontificii ed era compresa quasi negli stessi limiti dei tempi di Strabene. Presentemente, la Sabina occupa, come dicemmo al principio, la parte meridionale della provincia di Perugia, fra il Tevere e il lato nord-ovest degli Abruzzi.
Come già osservammo, il paese dei Sabini era in gran parte di un carattere aspro e montagnoso; anche al presente calcolasi che due terzi di esso sieno incoltivabili. Ma le valli sono fertili ed anche lussureggianti; e i fianchi delle colline e i pendìi più bassi delle montagne sono atti alla coltivazione così della vite come dell'ulivo.
Il tratto più settentrionale del territorio, comprese le alte valli della Nera e del Velino, segnatamente le adiacenze di Norcia, sono invero una gelida e squallida regione montuosa, chiusa ogn'iutorno da alcuni dei più alti gioghi apenninici, e l'intiero ampio tratto che stendesi dal gruppo del monte Velino, a sud-est di Rieti, al fronte della catena che cinge la Campagna di Roma, è poco più di una massa di aspre montagne spezzate, di un'altezza inferiore, ben è vero, a quella dei gioghi più centrali dell'Apen-uìno, ma sempre ragguardevole.
Il monte Gennaro (il Mons Lucretiìis ricordato da Orazio), che ergesi direttamente dalla pianura della Campagna, raggiunge un'altezza di 1271 metri dal livello del mare. Ma la montagna quasi isolata, detta Monte Terminillo, presso Leonessa, a nord-est di Rieti, cospicua da Roma, levasi all'altezza di 2213 metri, mentre il monte Velino, a sud-est di Rieti, sui confini dei Sabini e dei Vestini, ergesi sino a 2487 metri. L'intiero giogo altresì,che separa la Sabina dal Piceno, è uno dei più alti dell'Apenuino.
I monti della Sibilla, nei quali scaturisce la Nera, si alzano a 2333 inetri, mentre monte Vettore e Pizzo di Sevo — che formano la continuazione della stessa catena verso il Gran Sasso (2921 metri) — si adergono ad un'altezza anche maggiore, vale a dire, il Vettore a 2477 metri e Pizzo di Sevo a 2422 metri. Non vi può esser dubbio che questi alti ed aspri gruppi di montagne erano denominati dagli antichi Mons Fiscellus, Tetrica (Tetrìcae horrentes rupes: Virg., Aeri., vu, 713) e Severus; ma noi non possiamo identificare con certezza le varie montagne a cui erano stati dati codesti nomi.
La porzione più occidentale del territorio sabiuico scende digradando da questi alti gioghi dell'Apenniuo centrale, verso la valle Tiberina, e, quantunque sempre a colline, è una regione fertile e produttiva, simile a quella parte dell'Umbria a cui appartiene. La valle più bassa del Velino, intorno Rieti, era anche celebre per la sua feracità ed anche al dì d'oggi va meritamente annoverata fra le più belle regioni d'Italia.
II carattere fisico del paese dei Sabini esercitò evidentemente una grande influenza sul carattere ed i costumi degli abitanti. I montanari sono generalmente prodi e frugali, e i Sabini pare possedessero tutte queste qualità in sì alto grado che divennero, come dire, i tipi di esse fra i Romani. Cicerone li chiama severissimi komines Sabini e Livio parla della disciplina tetrica ac tristis veternm Sabinorum (Cicer., in Vatin., 13; prò Ligar., 11, Liv., i, 18). Catone altresì descrive il tenor di vita austero e frugale dei