Parte Seconda — Alta Italia
della Certosa di Pavia, doveva avere due requisiti, senza dei quali nessuno avrebbe pensato a chiamarlo da Crema: doveva cioè essere artista valente, provetto e conosciuto, e seguace rigoroso dei metodi e delle regole di costrurre dei Campioncsi, che avevano presieduto all'inizio del maraviglioso monumento e ne avevano ideato la simmetria fondamentale. Ora che potevano fare in Crema, piccola città, ove le opere grandiose non spesseggiavano certo, questi due fratelli Di Marco, i nomi dei quali sono in certo modo legati ai due piti straordinari monumenti vantati dalla Lombardia, il duomo di Milano e la Certosa di Pavia, se non attendevano ad un'opera certamente importante e commendevole qua! è appunto quella del duomo cremasco? Davvero non si saprebbe, essendo bene assodato quanto i Co macini fossero facili a trasportarsi da un paese all'altro, dove il lavoro poteva richiederli, essendo contro le loro abitudini ed i loro interessi lo starsene dove non era più dato ad essi di operare.
Da questi argomenti emerge evidente e positiva l'induzione che il duomo di Crema, nella facciata particolarmente, opera insigne della seconda metà del secolo XIV, è dovuto a Guglielmo di Marco ed a suo fratello Antonio, entrambi valentissimi Maestri Comacuii, o più rigorosamente Campionesi.
Secondo il Terni, autore d'una storia di Crema rimasta inedita, ma il cui manoscritto conservasi nella biblioteca di quella città, tiu dal secolo primo del Cristianesimo Crema possedeva una bella e grandiosa chiesa matrice, la quale venne distrutta nella metà del secolo XII per ordine di Barbarossa, allorché, dopo il memorabile assedio — del quale parleremo nel cenno storico — ebbe in suo potere l'eroica città. Lo stesso storico afferma poi, che i Cremasela < ala antica Gesa cominciarono a dar nuova forma l'anno I 2S1- e alcuni vogliono che in due anni fusse la Gesa e il Campanile fabbricato >. Invece si ha per positivo che in seguito alle guerre ed alle fazioni interne, dalle quali fu alilitto tutto il secolo XIV, le cose si protrassero in lungo e solo nella seconda metà, e ben inoltrata, del secolo stesso l'edilizio potè colla bella sua facciata essere compiuto. Questa facciata è oggidì la parte più importante del duomo di Crema, avendo la navata ali interno e la fiancata all'esterno subito tutte le conseguenze dei rifacimenti devastatori e profanatori del secolo barocco. Ma la facciata, abbastanza rispettata, è opera d'arte pregevolissima, che anche da sola e ad usura compensa del rimanente.
In essa gli elementi, diremo così, canonici dell'arte comacina si fondono in mirabile accordo con quel gotico ingentilito eli'è il neogotico o gotico lombardo. Essa ha forma cuspidale ed è divisa in tre campate, rispondenti alle navate interne, da due lunghe mezze colonne o lesene rotonde, dalle (piali si sviluppano tre archi a sesto acuto, poggianti i da® laterali allo sporto della pilastrata d'angolo. Nella campata maggiore o centrale si apre una bella porta a sesto acuto dagli stipiti rientranti e cordonati: sopra a questa — caratteristica dell'arte comacina — è forata la gran rosa o finestra circolare in marmo, lavorata con molta finezza. Sopra alla rosa, e proprio sotto la curva dell'arco, è aperta una finestra ogivale, rimasta disadorna. Nelle due campate laterali, rispondenti alle navate minori, si aprono al basso due finestre ogivali bifore — una per campata — a vano stronibato e finamente lavorate a cordonatimi. Sopra a queste finestre, il secolo delle profanazioni barocche ha voluto lasciare le sue traccio aprendo due finestre circolari; nella parte superiore di queste campate, sotto l'arco, si aprono due altre finestre ogivali e bifore di taglio elegantissimo, pai elio st romba te e finamente decorate di cordonatine ed ornate a fogliami nel vano. Il frontone superiore è terminato da una elegantissima loggetta simulata, a colonnine di marmo, elementi decorativi che son come chi dicesse la marca di fabbrica delle spore coniatine, e di bellissimo effetto. Nella facciata sono incrostate varie scolture di carattere più o meno sacro, tra le quali ltavvì pure lo stemma ducale dei Visconti: segno evidente che a quest'opera indubbiamente lavorarono i fratelli Guglielmo ed Antonio di Marco.