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Parte Seconda — Alta Italia
or degli Spaglinoli, traentisi dietro e gli uni e gli altri una turba di predoni e di male femmine, al cui mantenimento,come a quello delle truppe, le popolazioni dovevano provvedere con immani contribuzioni. A questi danni s'aggiungevano le piene devastatrici del Po ed i geli intensi che rovinavano le campagne; le pestilenze replicate che le truppe lasciavano quasi sempre sul loro passaggio; le discordie interne scoppiate tra le principali famiglie del luogo, cioè i Don ara, i Moreschi ed i Chiozzi, discordie che trascesero a sanguinosi conflitti ed a tragiche uccisioni e per colmo di sventura venne il saccheggio efferato, che le truppe ducali comandate, secondo il Guicciardini, da Alessandro lìentivoglio e da Antonio Carlo, capitani di ventura, dopo aver sconfitto il Pallavicino, che in nome del re di Francia aveva occupato il borgo, diedero a Casal-maggiore, incendiando case e palazzi, gettando le masserizie dalle finestre e facendone dei falò sulle pubbliche piazze, uccidendo ad archibugiate gli atterriti fuggiaschi cittadini, violando le donne, commettendo insomma ogni sorta di nefandità. In quegli anni disgraziati, nefasti anzi, per tutta Italia, i cui avanzi delle antiche libertà comunali andavano spegnendosi in una terribile agonia, per dar luogo alla oppressione ed egemonia straniera, fu anche per Casalmaggiore un continuo alternarsi e susseguirsi di casi disgraziati, ili passaggi dall'uno all'altro dominio, di continue enormi contribuzioni per il mantenimento delle truppe or dell'uno or dell'altro partito, sempre transitanti da quel luogo, posto strategicamente su tre confini e sul Po. Desolata era l'agricoltura, morta ogn altra industria, impossibile o quasi ogni trafficarla più squallida miseria regnava in tutto il territorio casalese e sul borgo. Ultimo dolore fu per Casal-maggiore quello di vedersi impegnato, se non venduto, pel canone di 40,000 scudi da Carlo V al famoso Tommaso de Marini o Marmo, genovese, appaltatore generale delle gabelle del ducato in quel periodo (1545) e per ordine del quale, Galeazzo Alessi, eresse in .Milano il famoso palazzo che ora è sede del Comune.
11 periodo della dominazione spagnuola fu anche per Casalmaggiore un periodo di dura oppressione e di esosa continuata spogliazione, contristato da confinili passaggi di truppe, lasciatiti sempre il loro codazzo di miserie, di brutture, di malattie infettive e pestilenze.
Durante la carestia e la pestilenza che, nel 1577, affliggevano singolarmente Milano, i cittadini di Casalmaggiore, immuni dal contagio, commossi per le tristi notizie che venivano dalla metropoli, con spontaneo slancio, raccogliendo le offerte dei volonterosi, inviavano al vicario di provvigione di Milano parecchie centinaia di sacchi di farina, mille capponi e polli per il sostentamento degli infermi e dei poveri più bisognosi di tale alimento, numerosi capì di bestiame, alcune centinaia di brente di vino e molte carni di legna da ardere. Quest'atto di vera fratellanza fu, con una grida del vicario di provvigione e degli altri magistrati milanesi deputati all'annona, segnalato ad esempio a tutte le città ed a tutti i Comuni della Lombardia.
Occupato, nel 1G29, dai Lanzichenecchi imperiali recantisi, sotto il comando del Cobalto, all'assedio di Mantova, Casalmaggiore fu di nuovo inessa a ruba da quelle truppe ch'erano la schiuma della peggior feccia tedesca. Partiti ì Lanzichenecchi si sviluppò quella terribile pestilenza che formò uno dei quadri più strazianti e dolorosi della Lombardia sotto il dominio spagnuolo ed i cui orrori furono, con efficace evidenza di descrizione, resi popolari dal romanzo di Alessandro Manzoni. 11 Muratori ricorda nei suoi Annali i danni recati dal passaggio dei Lanzichenecchi in Lombardia, ed in Casalmaggiore particolarmente. Nuovi danni soffrì questa borgata nel 1035, durante la guerra, provocata da Kichelieu, contro la Spagna, nella quale l'abile cardinale seppe trascinare dalla sua parte il duca di Savoia Vittorio Amedeo I ed il Farnese dura dì Parma. Più gravi danni ancora soffrì Casalmaggiore nel IG4S, per opera dei Franco-Sardi-Estensi reduci dal fallito assedio di Cremona: furono sei giorni di saccheggio continuato, durante i quali nulla fu da quelle truppe, furibonde per il mancato bottina