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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincie di Cremona e Mantova
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1899, pagine 296

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   1-28
   Parte Seconda — Alta Italia
   nel 1310, la città tentò di emanciparsi, ribellandosi a Luchino Visconti, signore di Milano. Questi assediò con un fortissimo esercito la città, difesa peraltro con molto valore dai cittadini; ma per l'interposizione di Filippino Gonzaga, signore di Mantova, la vertenza fu composta col ritorno di Cremona sotto il dominio visconteo e col pagamento d'una grossa taglia in danaro.
   Il rimanente del secolo XIV passò per Cremona in relativa tranquillità sotto il dominio dei Visconti, e la storia particolare della città si confonde con quella speciale della Lombardia e del dominio viscontesco, che con Bernabò e Gian Galeazzo, aveva assunto (quantunque sotto quest'ultimo con parvenze splendide) la forma ed il metodo di vera e sospettosa tirannide. Alla morte di Gian Galeazzo, nel 1402, profittando anche della inettezza del costui successore, Cremona, al pari di tante altre città del ducato, tentò di riacquistare la primitiva libertà scuotendo il giogo della dominazione viscontea. Ma non impunemente un popolo passa più di mezzo secolo in istato di completo asservimento. Sottrattosi dalla signoria lontana dei Visconti, il popolo cremonese cadde inconsciamente in quella immediata, diretta e più umiliante dei suoi caporioni: dei Cavalcabò, che per rafforzarsi al potere si diedero a tiranneggiare come più poterono sulla città e ad insevìre specialmente contro quei cittadini che più potevano dare loro ombra o che erano o potevano diventare loro nemici. Quindi nuove lotte, sollevazioni, eccidi, proscrizioni; Ugolino e Carlo Cavalcabò furono i tiranni di Cremona dal 1102 al l lOtì, nel quale anno perdettero violentemente la vita, essendo caduti nell'agguato loro teso da Cabrino Fondalo — loro capitano ed amico — nel castello di Maccastorna, ove li aveva convitati a partite di caccia.
   Questo Cabrino Fornitilo, abile capitano di ventura, uomo audace e senza scrupoli, è, nel suo piccolo, uno dei tipi più singolari di quei principotti italiani del secolo XV che ebbero il loro prototipo nel famoso duca Valentino. Assassinati, il 24 luglio 1106, i suoi ospiti in Maccastorna, Cabrino, con quante milizie a lui devote aveva in Piz-zighettone e in Maccastorna, vola a Cremona e, dopo avervi compita la strage dei superstiti Cavalcabò e dei maggiori loro aderenti, si proclama signore della città, cui fa fortificare, munendone specialmente l'ora distrutto castello. 11 reggimento di Cabrino l'ondulo fu tirannico ed avveduto ad un tempo, onde non lasciò nella città ricordi sì odiosi come quelli sollevati dagli ultimi Cavalcabò. Forse Cabrino aveva contato sul-l'odio suscitato in città dai Cavalcabò per la riuscita dell'audace e scellerato suo piano; nò in questo caso aveva sbagliato. Egli potè reggersi —sebbene minacciato dai nemici interni e dal duca di Milano, Filippo Maria Visconti, che, nell'intento di ricostituire il paterno dominio, aveva assoldati i migliori capitani del tempo, quali il Carmagnola, il Piccinino ed altri — per oltre tredici anni: e durante la sua signoria ospitarono contemporaneamente in Cremona, e da Cabrino onorati di grandi feste, l'imperatore Sigismondo e il pontefice Giovanni XXI, diretti al Concilio di Costanza. Gli storici cremonesi hanno minute descrizioni delle grandi feste ordinate dal Cabrino pei due ospiti illustri, la momentanea amicizia dei quali ei faceva interpretare «lai popolo conte sanatoria alla strage dei Cavalcabò e loro partigiani, colla quale aveva afferrato e s'era assodato il governo della città, l'er quanto astuto, Cabrino Fornitilo non riuscì a disarmare contro di lui il cupido Filippo Maria Visconti, il quale, nel 1411», mandò il Carmagnola con un grande esercito ad invadere il territorio cremonese ed a ricondurre la città all'antica ubbidienza pei duchi di Milano. Cabrino resistette per qualche tempo; ma ben comprendendo di non potere giti oc are sì grossa posta tentò di vendere Cremona ai Veneziani dapprima, poi a Pandolfo Malatesta, fattosi, col favore dei Guelfi, signore di Bergamo e d'altre terre: e non riuscendogli questo piano finì per accordarsi col duca cedendogli la città per 10.000 fiorini d'oro. Cabrino si ritirò colla famiglia nel castello di Castelleone, lasciatogli dal duca di Milano: e se ne stette tranquillo per cinque anni circa.