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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincie di Cremona e Mantova
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1899, pagine 296

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Cremona
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   da due anni, si rifugiò in Viadana con altri nobili di sua parte- i Sonimi, i Piovani, i Pieenardi ed i Persichi. Sprovvisti di difesa ed abbandonati, ì cittadini mandarono una larga ambasceria ad Arrigo, che trovavasi in Paderno snll'Oglio, per domandargli il perdono e la salvezza della loro patria. Ma Arrigo fu inflessibile ed entrato in città il 36 aprile del 1311 l'abbandonò al furore delle sue soldatesche, dalle quali fece saccheggiare e distruggere le case dei Guelfi. E minacciava la devastazione dell'intera città, l'abbattimento della Gran Torre e dei maggiori edilizi, orgoglio dei cittadini, se l'intercessione dell'imperatrice, alla quale i Cremonesi avevano ricorso, non l'avesse ridotto a più miti consigli. In luogo della minacciata devastazione l'imperatore pubblicò allora un editto — l'osservanza del quale fu fatta giurare dal podestà Federico d'Artesaga — pel quale Cremona perdeva il titolo di città od ogni privilegio inerente, il contado e le rendite; condannava al carcere ed alla proscrizione 1200 cittadini, mostratisi poco favorevoli all'Impero, levava una contribuzione di 100,000 fiorini d'oro e metteva il governo della città in mano dei Ghibellini e di un vicario imperiale di sua nomina.
   Appena allontanato l'imperatore dalla Lombardia, Guglielmo Cavalcabò ed i fuorusciti guelfi, facendo assegnamento anche sul desiderio di vendetta lasciato nel popolo cremonese da queste durissime condizioni di perdono, tentarono la riscossa in un momento nel quale il vicario imperiale, Giovanni da Castiglione, il podestà ed altri capi ghibellini, attendevano all'assedio del castello di Pozzobaronzio, ov'erasi afforzato un grosso nucleo di Guelfi. Di sorpresa, il Cavalcabò cogli altri Guelfi penetrarono in città per la solitaria porta Mosa e di là, senza colpo ferire, poterono giungere alla piazza Maggiore. Quivi però trovarono un forte nucleo di Ghibellini sotto il comando dì Galeazzo Visconti, Passerino Torriani e Manfredo Pallavicino, e s'impegnò una sanguinosa battaglia sulla piazza stessa e per le vie della città. I Ghibellini non poterono resistere all'impeto dei Guelfi avvedutamente guidati dal Cavalcabò, ai quali si aggiungevano in sempre maggior numero i cittadini e, dopo varie ore di combattimento, dovettero uscire dalla città. Il Cavalcabò, tanto per rifarsi dello scacco già avuto dalla sua parte si diede a feroci repressioni e quanti Ghibellini erano in Cremona dovettero uscirne banditi o con taglia. Nello stesso tempo Venturino Fondulo, guelfo pur esso, riacquistava a Cremona il fortissimo castello di Soncino. Yi si stabili subito solidamente il Cavalcabò, per resistere all'assedio che vi pose Guarnerio d'Omberg, vicario imperiale; ma non bastando le sue forze alla difesa e mancatigli gli aiuti attesi da altre parti decise di aprirsi colla forza una via fra i nemici; senonchè nel temerario tentativo restò ucciso. Venturino Fondulo, altro dei Guelfi cremonesi difensori di Solicino fatto prigioniero, venne, per ordine del vicario, insieme a due suoi figli, fatto trascinare a coda di cavallo intorno alle mura del castello ; altri trenta patrizi cremonesi di parte guelfa furono in vario modo torturati e fatti morire. Colla vittoria di Soncino sperava il vicario imperiale di trovare sgombra la strada ed aperte le porte di Cremona; ma Giberto da Correggio fu pronto ad accorrervi ed assunse la difesa della città con tale risolutezza che il vicario imperiale credette opportuno per allora di desistere dall'impresa.
   In questo continuo alternarsi tra Guelfi e Ghibellini, tra i Cavalcabò ed i Ponzoni, durò ancora per dieci e più anni la città, finche, il 17 gennaio 1322, Galeazzo Visconti signore di Milano, se ne impossessò, assumendo il modesto titolo di protettore : accordando ai cittadini fuorusciti di qualsiasi parte [— eccettuati alcuni capi per tema che potessero suscitare nuovi tumulti — di ritornare alle loro case ed attendere ai loro affari, promettendo pace e perdono per tutti.
   Sotto i Visconti — diremo così — della prima maniera, Cremona fu abbastanza tranquilla e la cittadinanza potè avviarsi a prosperosi commerci. Quel reggimento lasciava a Cremona, come alle altre città lombarde, una specie di autonomia, che rendeva meno dura la perdita della completa libertà. Tuttavia in ricordo di questa,