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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincie di Cremona e Mantova
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1899, pagine 296

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   1-28
   Parte Seconda — Alta Italia
   caddero tragicamente alla battaglia di Filippi, e subito il Triumvirato trionfante a vendicarsi con proscrizioni e sconfitte di quelle città che avevano prese le parti dei caduti. Cremona fu data in preda ai veterani, le terre divise fra le soldatesche spogliandone con inaudita violenza gli antichi proprietari e coltivatori, che in gran parte dovettero ramingare altrove, dando miserrimo spettacolo dovunque. Anche il territorio di Mantova subì tignai sorte; confiscato fu pure un podere di Virgilio (restituitogli in seguito per gli uffici di Alfeno Varo); disordini, dolori e violenze alle quali il grande poeta alluse col celebre verso:
   Manina vae misera? nimiiim ricinae Cremonae!
   Rimasto solo Ottaviano — dopo sanguinose contese e dopo la morte degli altri dite triumviri, Marc'Antonio od Emilio Lepido — nell'Impero, le cose migliorarono e per oltre mezzo secolo Cremona godette i benefizi di quella prosperosa pace e di quella luminosa civiltà, che in Italia particolarmente caratterizzò il secolo d'Augusto, detto aureo da coloro che della libertà fanno il minor calcolo od hanno la maggior avversione possibile ; ma che il filosofo della storia segna come il principio della precipitosa decadenza di tutto il mondo romano.
   Allo scoppiare delle contese, per la successione di Oalba, tra Ottone e Vitellio, l'uno fattosi gridar imperatore dai pretoriani, l'altro dalle legioni germaniche, nei dintorni di Cremona, ed in Cremona stessa, si dibattè colle anni la contesa: prima tra Ottone e Vitellio, poscia tra Vitellio e Vespasiano Flavio. Cremona, tenendo per Vitellio (fra le cui legioni militanti in Germania ormivi molti Cremonesi) lo sostenne validamente nella battaglia di Bedriaco, terra sulla via che da Cremona conduce a Verona, paludosa e murata.
   La vittoria riportata dalle armi di Vitellio a Bedriaco, causa della morte d'Ottone che il giorno dopo, alla notizia della disfatta recatagli in Brescello, si suicidò, fu festeggiata con grandi pompe in Cremona, ove, siccome narrammo, fu costrutto dai legionari 1111 apposito anfiteatro per dare all'imperatore ludi bellici e gladiatori!. Ma ben altra bufera poco stante addensatasi su Vitellio e su Cremona. Alla morte di Ottone le coorti d'Asia avevano gridato imperatore Vespasiano ed a grandi giornate, col lieo eletto, si avvicinavano all'Italia; sicché a Vitellio ed ai snoi capitani convenne lasciar lloina per far fronte alle prime legioni di Vespasiano, che, capitanate da Antonio Primo, scendevano per la Rezia in Italia, \ncora per una volta, ad un anno o poco più di distanza dalla battaglia di liedriaco, gli eserciti contendenti si trovarono di fronte; i Vitelliani chiusi nella città, i Flaviani all'intorno assediandola, (ili assalti furono numerosi e sanguinosi: finché, forzata cogli arieti una porta, fu agevole agli assalitori di entrare in città. Interpretando male nn detto d'Antonio, i legionari smaniosi di bottino diedero il sacco alla città incendiando e distruggendo ogni cosa e lasciando, dei maggiori edifizi, un mucchio di rovine. Antonio tentò di opporsi a quella rovina, ina troppo tardi; lo stesso Vespasiano se ne dolse ed esortò i fuggiaschi cittadini a rientrare nella loro patria, a risollevarne le mura e gli edifizi: opera nella quale furono largamente aiutati dagli altri municipi italiani; ina per quanto i temidi fossero rifatti, ricostrutti gli edilìzi pubblici e ristaurata la città, Cremona, asseverano gli storici, non potè mai raggiungere lo splendore toccato prima di questo inopinato eccidio. Dopo questo avvenimento, al quale facevano strano contrapposto le feste ili Brescia, adorna di un nuovo tempio per il trionfo di Vespasiano, al quale quella cittadinanza aveva contribuito, tace per molto tempo la storia di Cremona; nella quale gli eruditi vanno cercando, frattanto, le prime traccie della predicazione cristiana nella seconda metà del primo secolo per opera di Barnaba, uno degli Apostoli mandato da Pietro, capo di questi, orinai trasferitosi in Roma, a predicare la bnona novella nella Gallia Cisalpina.