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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincie di Bergamo e Brescia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1898, pagine 540

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   68-
   Parte Seconda — Alta Italia
   la città, fu respinto ed inseguito con tale valore da l'inaila Alipranilo e dai Bergamaschi che dovette darsi alla fuga, lasciando ai vincitori un ricco bottino, tra cui gli arredi della cappella reale e l'altare portatile, che il Pinalla Aliprando recò in trionfo a Milano (maggio 1333). Qualche tempo appresso uscì d'Italia per metter sesto alle faccende (li Boemia, diventate pur là pericolose ed a lui sfavorevoli. Con questo fatto il dominio dei Visconti fu stabilmente consolidato in Milano e nelle maggiori città lombarde, Bergamo compresa.
   Passarono parecchi anni d'una relativa tranquillità, cominciando a svilupparsi la industre attività di questa popolazione, allorché, dominando in Milano e nell'alta Lombardia Bernabò Visconti, per il furore feroce col quale si diede a perseguitare i Guelfi, questi, che in Bergamo e nelle valli circostanti erano molti, si ribellarono (1362) e guidati da Marino Olmo, valoroso loro capo, presero i castelli dilianica, Pizzideiite, Cornalba e li demolirono; si accesero inoltre nelle vie della città ed in tutto il territorio circostante le ire sopite, ma non spente, delle antiche fazioni. Fu pronto e crudele Bernabò a sedare i Inni ulti recandosi egli stesso sui luoghi ed in Bergamo, ove fece impiccare, squartai» ed abbruciare trentotto persone di parte guelfa cadutegli nelle mani, senza riguardo ad età ed a sesso, ed a constatata non partecipazione agli a\ venuti tumulti. Di più diede ad ogni ghibellino facoltà di uccidere impunemente chiunque si professasse guelfo, abbruciarne le case, distruggerne i «tropi; la qual cosa, dando luogo a sanguinose vendette, a rapine, ad eccessi di ogni sorta, determinò 1 aperta ribellione delle valli Brembana, Seriana, d'Iniagna, di San Martino e Palazzago al dominio del feroce Visconti, il quale, sebbene dal papa, da altre città italiane e da tutti i Guelfi di Lombardia, gli fosse gridata contro la crociata, non ristette dalle più crudeli repressioni contro i ribelli e contro la stessa città di Bergamo, entrando nella quale, nel 1363, per ilare un saggio di quel che la sua collera poteva, fece abbruciare insieme ad altri edilizi il palazzo del podestà. Fn questo uno dei peggiori momenti della storia di Bergamo.
   Ciò che non potè la forza dei collegati guelfi contro Bernabò, potè l'astuzia del nipote suo, Gian Galeazzo, che fattolo prendere a tradimento ed imprigionatolo nel castello di 'Prezzo ve lo tenne a morir di rabbia e di crepacuore, mentre si impadroniva di tutto il dominio, lo accresceva e si preparava a farsi gridar duca di Milano, nell'attesa più lontana, se i fati gli fossero arrisi, di afferrare la corona dei re d'Italia.
   Il governo di Gian Galeazzo in Lombardia parve inteso a far scordare gli orrori e le crudeltà del reggimento di Bernabò ed a creare una grande popolarità al duca, spianandogli la via a maggiori eventi e fu anche per Bergamo un perìodo riparatore, specialmente per l'incremento the cominciavano a prendervi ed i commerci e lo lavorazioni della seta e della lana. Ma nuovi guaì sopravvennero alla morte di (ìiaii Galeazzo, per la inettezza di Giovanni Marta prima, di Filippo Maria poscia, che, zimbelli dei capitani di ventura, nelle mani (lei quali stavano le loro milizie, perdettero in breve gran parte del dominio avito. Molte città si emanciparono dal giogo visconteo: Bergamo fra queste, ed allora risorsero ancora le fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini e fu una gara fra signorotti e condottieri dell'uno e dell'altro partito a clu poteva stendere la mano sulla ricca città orobica; contesa così fra i Gonzaga dì Mantova, Ettore Visconti (li Monza, Landolfo Malatesta, Giovanni da Vignate, Ugo Cavalcalo, Paolo Colleoni, Jacopo Dal Verme, Nicolò Piccinino.
   Nel 1408 Bergamo, dopo lunghi contrasti, rimase in potestà di Pandolfo Mala-testa, uno dei capi del partito guelfo. Nel 1411, Eacino Cane, capitano generale delle armi del duca di Milano, strinse d'assedio Bergamo;, ma, morto poco stante quel capitano, l'assedio fu tolto e la città rimase ancora al Malatesta. Nel 1419 Filippo Maria Visconti mandò il conte di Carmagnola ad assediarla e questi, più fortunato di Facino Cane, potò impossessarsene e ridurla alla servitù del duca di Milano. Nel