Bergamo
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abbandonata loro città e di star quivi finche quel popolo si fosse inesso in istato di potervi rimanere e difendersi da solo. E quel giorno benedetto, scelto a compimento del primo patto o capitolo della Lega, fu il 27 d'aprile, nel quale i Milanesi, che dai loro borghi e dalle mura crollate e sguarnite ancora rimanevano alla città, videro comparire le milizie di Brescia, Cremona, Mantova, Verona e Bergamo a ricondurvi i profughi nella disertata città, assicurandone la difesa, mentre i cittadini attendevano a riparare ai danni del passato eccidio e ad alzare, coll'improvvisato terraggio, nuove e più ampie opere di difesa contro eventuali assalti dell'imperatore. In questo momento, veramente glorioso della storia di Bergamo, erano consoli maggiori del Comune e cooperarono validamente alla fortunata riescita della Lega Lombarda i cittadini: Bortolo di Pedrengo, Vazzone deH'Archidiacono, Guglielmo della Grotta, Giovanni Moizone, Pacano di Monaco, Rogerio di Gorlago, Gerardo di Castello, Peregrino Fidane, Alberto Albertone, Maurisco di Rivola, Alone Daiberti, Lanfranco di Zoppo, Anselmo di Lazzari, Burdolo, Oprando di Sant'Alessandro, Àlgizio de Rivola, Rogerio di Muzzo.
In tutto il susseguente periodo della Lega il nome di Bergamo figura fra le prime e più volonterose città combattenti il comuu nemico e nella decisiva battaglia di Legnano (29 maggio 1176) le schiere dei Bergamaschi sono allato di quelle di Milano « in buon numero unitesi al Carroccio di Milano » e col loro valore e colla loro fermezza nell'affrontare gli assalti della cavalleria teutonica, contribuiscono grandemente al trionfale successo di quella giornata, che liaccò per sempre l'autorità imperiale in Lombardia. Dopo Legnano, per le trattative della pace vanno a Venezia ed a Ferrara, quali commissari della Lega, sette delegati, fra cui il vescovo di Bergamo Guala, come omaggio alla città che nella Lega ebbe parte principalissiina.
Dopo la tregua ili un anno, giurata a Venezia e rispettata da ambo le parti, le città della Lega che coi méssi dell'imperatore avevano, nell'aprile 1183, trattati i preliminari della pace, mandarono a Costanza ì loro ambasciatori per concluderla definitivamente. 1 deputati di Bergamo, che a Costanza firmarono l'atto solenne col quale Barbarossa riconosceva i diritti e gli statuti delle Comunità lombarde, furono: Alberto di Mapello, Ottone Fidane — che intervenne come rettore anche al Congresso di Piacenza — Giovanni di Pedrengo, Lanfranco Monaco, Alberto di Attone ed Alberto Albertone: k Sarà sempre gloriosa — dice il Ronchetti — la loro memoria per essere concorsi a stabilire una pace sì vantaggiosa ».
Dalla pace di Costanza data il periodo ascendente del progresso morale e della prosperità economica dei Comuni. Bergamo segui in ciò la legge del momento storico, generale, si può dire, nell'Italia superiore e nella Toscana. Da questo periodo datano gli abbellimenti della città che proseguono durante il secolo XIII e buona parte del XIV. L'eccesso di vitalità, cli'è caratteristico di questo periodo dei Comuni italiani, portò di nuovo alle guerre vicinali, alle fazioni interne. Guelfi e Ghibellini si contendono il primato, il dominio nella città, nei Comuni, nel territorio circostante nella regione, in tutta l'Italia superiore. Le cause di conflitto, sopite nel fortunoso e glorioso periodo della Lega, risorgono più prepotenti che mai, dopo che la pace di Costanza consacrò le autonomie comunali : e Bergamo e Brescia riprendono le antiche questioni, sebbene sotto nuovi aspetti, si battono per terre e castelli e nelle loro guerre si alternano la fortuna e la sconfitta.
Ad accrescere la discordia fra le città guelfe e le ghibelline di Lombardia, giunge in mal proposito Federico 11 imperatore, nipote alBarbarossa, di sempre infausta memoria. Egli si propone di rialzare la potestà imperiale, assai decaduta ili Italia, ed italiano qua! era per nascita, per cuore, per educazione, egli che figlio ed erede di Costanza Normanna, aveva riunita alla corona degli Svevi quella dei Normanni, cioè dell'Italia del Mezzodì e della Sicilia, meditava forse, e seriamente lo sperava, di riunire nel suo pugno l'Italia, farne la nazione ghibellina per eccellenza. Ma la tradizione regionale,