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Parte Seconda — Alla Italia
A parte gli effetti sempre tristi della perduta libertà, il dominio dei Visconti non fu, sotto molti rapporti, totalmente dannoso alla città. Considerandola, e giustamente, come la città più illustre del loro dominio, dopo Milano, l'abbellirono di edifizi, clie al loro tempo ebbero immensa rinomanza ed ancor oggi destano l'ammirazione dei più. Il Castello, l'Arca di Sant'Agostino, il restauro di San Pietro in Cielo d'Oro, la copertura del ponte sul Ticino, il gran parco cintato, che univa il castello visconteo con quello di Mirabelle, sono tutte opere del primo periodo della dominazione dei Visconti sulla città. Pi più : Gian Galeazzo abbellì con rara munificenza le sale del castello di Pavia e vi raccolse, con non tenue dispendio, quella biblioteca tutta di codici preziosi, che fu certamente la più celebre del suo tempo, e contemporaneamente, a poche leghe da Pavia, ordinava la erezione della Certosa che dalla città or prende il nome: insieme al Duomo di Milano, l'opera più maravigliosa compiutasi, nonché in Lombardia, in tutta l'Italia superiore, in quel secolo. Infine, allo stesso Gian Galeazzo Pavia è debitrice del definitivo assetto del suo Studio ad Università.
Nò meno premurosi per il decoro e la prosperità di Pavia si mostrarono i suoi successori ; nò per quanto Filippo Maria Visconti, politicamente e moralmente, appaia r.onio odioso, va dimenticato dai Pavesi il suo decreto del 17 settembre 1420, col quale, quasi rievocando la famosa disposizione dei Capitolari Carolingi dell'824, faceva obbligo a tutti i giovani nati nei suoi Stati, che volessero compiere gli studi universitari, di frequentare l'Università di Pavia: il che diede non lieve incremento e rinomanza, siccome più sopra fu dimostrato, allo Studio pavese. Fu forse in virtù di questo decreto che Cristoforo Colombo, i genitori del quale, se non lui, erano oriundi del Ducato, fu per alcun tempo inscritto fra gli studenti di Pavia: circostanza confermata da Fernando Colombo, tìglio del grande navigatore, e da Las Casas che gli fu amico e ne fu anche il primo ed ili molte circostanze più veritiero storiografo.
Nè gli Sforza, dopo il breve periodo dell'aurea Repubblica Ambrosiana, succeduti ai Visconti, furono — quanto a liberalità — rispetto a Pavia, dissimili dai Visconti. Essi largheggiarono di privilegi per l'Università e di conseguenza per la città. Fu sotto il loro reggimento e per loro concessione che, nel 1471, Pavia ebbe la prima stamperia, dalla quale uscirono le opere mediche del Mondino, che oggidì sono fra i più rari incunabuli tipografici che si conoscano. Certo che gli ultimi anni della signoria sforzesca, tra la fine del secolo XV ed il principio del XVI, furono dei più tristi per la città; ma non diverse erano le sortì di Milano e di gran parte della Lombardia.
Nella guerra promossa da Luigi XII di Francia per la successione nel Ducato di Milano, a cui egli vantava diritti quale erede dei Visconti in linea di donne, Pavia fu, nel 1499, occupata dalle truppe francesi; ma il popolo ribellatosi cacciò gli stranieri: con nuove forze Luigi XII ritornò all'assalto delia città ed avutala, il 7 aprile del 1500, l'abbandonò alla furia delle sue soldatesche, che, in arretrato di paglie, si compensavano col bottino fatto sui vinti della taccagneria del loro re e dei latrocini! dei suoi intendenti. Il saccheggio e la rapina furono intercalati da nefandezze d'ogni genere, da uccisioni, da incendi e per colmo una contribuzione di 50,000 scudi d'oro fu imposta alla città.
Intanto re Luigi, installatosi nel castello, lo saccheggiava per proprio conto, spogliandolo del buono e del meglio, cominciando dalla ricca e preziosa biblioteca dei codici, creata da Gian Galeazzo Visconti ed accresciuta dai suoi successori e dagli Sforza, che fatta incassare, insieme a tante altre preziose suppellettili ivi rinvenute, fece spedire al suo favorito castello di Blois.
Dopo una breve tregua, sul principio del secolo, riaccesasi la guerra per gli stessi pretesti, ma con differenti attori, cioè tra Carlo V imperatore e re, che fìngevasi protettore del buon diritto degli Sforza, e Francesco I, che ai pretesi diritti derivati dai Visconti univa quelli recenti acquistatisi a fil di spada dal suo predecessore Luigi XIIj