Stai consultando: 'La Patria. Geografia dell'Italia Provincia di Pavia', Gustavo Strafforello

   

Pagina (77/313)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (77/313)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Pavia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1896, pagine 302

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Home Page]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   Pavia
   55
   quelle montagne dal duca sposata, fu il vero successore di Liutprando nella reggia di Pavia, non essendo da calcolare Ildebrando, eletto re per pochi mesi ed al quale dai duchi fu tolto d regno per l'inettezza ed i vizi suoi. Egli aveva in animo di continuare o compiere l'opera di Liutprando riunendo al legno le terre ancora possedute dai Bisantiui; ma avendo assediata Perugia, si lasciò persuadere da papa Zaccaria I a recedere dall'impero ed a farsi monaco, con tutta la sua famiglia per giunta! — Astolfo, suo fratello, di lui più battagliero, gli succedette sul trono e con questi si accentuarono sempre più le dissensioni colla Chiesa Romana, per la quistioue dell'Esarcato di Ravenna, della Pentapoli e della Romagna. Fu allora che, chiamato dal pontefice Stefano, un nuovo intruso nelle faccende d'Italia venne con un forte esercito, cioè Pipino, tiglio di Carlo Martello, maestro di palazzo degli ultimi Merovingi, già fattosi in quel torno proclamare re dei I ranchi a Soissons dopo aver costretto Chiklerico, l'ultimo imbelle re merovingio a farsi frate. Pipino, al quale Astolfo non seppe opporsi uè alle chiuse del Moucenisio, né dopo, assediò Pavia e non se ne andò se non dopo essersi latto pagare un terzo del regio tesoro a titolo di \ iatico ed un tributo annuo a titolo di soinmessione e dopo aver ordinato per iscritto clic si restituissero al papa le terre che il re longobardo av eva occupate intorno a Poma (755). Morto (757) Astolfo per una caduta a caccia, l'erede di questo poco fortunato stato di cose fu Desiderio, duca ili Brescia e non, come altri disse, di Toscana. Sulle prime, avendo egli fatte grandi promesse ed affermazioni di fedeltà al papa, le cose camminarono abbastanza facilmente e Desiderio potè, con tutto il fervore del quale gli storici ce lo mostrano invaso, lostrarre e riattare chiese, fondare monasteri e conventi dovunque; ma poi, credendo d avere ammansata la Curia romana con queste belle provo di pietà e di avere amico Carlo re dei Franchi, al quale aveva mandata in moglie la figlia Ennenganla, ritentò — come i suoi predecessori — la conquista di quelle terre ch'erano il pomo apparente della discordia ira la Curia romana ed i re longobardi, ma che non erano, come ben dimostra Giuseppe Ferrari, il grande lilosofo della storia patria, se non il punto ardente della quistioue ili cui si acuiva la reazione dell'elemento nazionale romano, incarnato nel Papato, contro l'elemento dominatore straniero, rappresentato dalla monarchia militare longobarda. E allora Desiderio si vide d'un tratto respinta, vergognosamente ripudiata dal re Carlo, la povera Ennengarda — altro grande soggetto di sentimentalità per i romantici del principio del secolo — e si trovo in lotta con la Curia romana e col re dei Franchi, un re guerriero ed animoso, che delle sue imprese contro i Saraceni, i Normanni, i Sassoni ed altri nemici aveva già riempito il mondo d'allora. Ciò che avvenne è troppo noto per esser narrato distesamente qui.
   Invitato formalmente dal pontefice Adriano I, Carlo, clic tornava da una vittoriosa impresa contro i Sassoni, si mosse: tenne campo di Marte in Ginevra, radunandovi tutte le sue forze e appena la stagione fu propizia si diede ad affrontare le Alpi per la doppia via del San Bernardo e del .Moucenisio, tenendo egli alla testa del maggior nerbo dei suoi questa seconda via. Fu sollecito abbastanza Desiderio, insieme al tiglio Adelchi od Adalgiso, associato al regno, ad accorrere alle Chiuse Segusane per impedirgli il passo. E la resistenza fu invero forte ed ostinata, specie per parte di Adelchi che nei fatti d'armi, quasi d'ogni giorno, affrontava personalmente il nemico. È fama o leggenda che Carlo disperando di trovarsi un passo fra quelle gole pensasse agli accordi, quando, o per tradimento d'un giullare o per l'insegnamento d'un diacono di Ravenna, mandato apposta dal papa ad additargli la strada, o molto più verosimilmente per la sua naturale perspicacia, aiutata da qualche buona guida trovata fra quei montanari, Carlo Magno un bel giorno seppe girare la posizione, passando per le gole laterali di Giaveno intorno al monte Pirchiriano e cogliere il nemico alle spalle. La sorpresa fu terribile e la sconfìtta irreparabile. I Longobardi si ritrassero a marcie forzate, chiudendosi in Pavia ed in Verona, pur sempre i maggiori baluardi del regno nell'Italia