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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Pavia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1896, pagine 302

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Pavia
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   conquista da Verona a Mantova, a Brescia, a Bergamo, a Milano, a Lodi, a Cremona, fu soltanto in Pavia che trovò un'efficace resistenza e dovette cingere la città di regolare assedio. E mentre egli attendeva all'assedio (li Pavia mandava i suoi duchi con nerbi di truppe più o meno poderose ad occupare Tortona, Piacenza, Parma, Reggio, Modena; ne mandava altri ad occupare la Liguria ed il Piemonte; altri le faceva attraversare l'Apennino spingendoli in Toscana e nell'Umbria. Pavia resistendo sempre, la sede provvisoria del Regno era in Verona, la prima delle città italiane che i Longobardi avessero occupata fortificandovisi. B prolungarsi di questo assedio esasperò grandemente Alboino, il quale pubblicò un editto minacciante di passare a fil di spada i Pavesi tutti, senza distinzione di età, di sesso e di grado, ove la resistenza non fosse cessata; ma la minaccia restò senza effetto e Pavia resistette ancora lungamente. Solo dopo tre anni e qualche mese la città, costretta dalla fame, dalla pestilenza, da altri malanni, capitolò. Alboino entrandovi, con propositi sterminatori, nel varcarne la soglia cadde sotto il cavallo imbizzarrito e fu a questo accidente, secondo la tradizione popolare rammentata da Paolo Diacono, da lui ritenuto come un avvertimento celeste, che Pavia dovette il perdono e la desistenza del re longobardo dai suoi propositi di vendetta. Noi opiniamo piuttosto che la clemenza insperata di Alboino sia stata cagionata da cause più forti: da considerazioni di opportunità, fra le quali non doveva essere ultima quella della necessità per il nuovo suo regno di conservare nel miglior stato possibile la città destinata, per ragioni politiche e militari, ad esserne la sede e che allora era senza dubbio il maggior propugnacolo di tutta l'Italia superiore (572).
   Quando, poco dopo la presa di Pavia, Alboino, che si preparava a trasportare quivi la sede del suo regno, morì in causa di quella tragedia di palazzo sulla quale tanto fu parlato e scritto nel periodo del romanticismo, i duchi longobardi si radunarono in Pavia per nominare il uuovo re, il quale fu Cleti, caduto, dopo pochi mesi di dominio, vittima di un'altra di quelle tragedie di palazzo che non furono infrequenti nella storia della monarchia longobarda. Alla morte di Clofi, la conquista longobarda sembrando bene consolidata, l'Italia abbastanza quieta e sottomessa al nuovo signore, l'Esarcato di Ravenna nell'impotenza — per contraccolpo di quanto avveniva in Costantinopoli — di nuocere agli interessi dei Longobardi, i capi militari di questo popolo, i trentasei duchi, ad ognuno dei quali Alboino aveva dato da governare una delle città della conquista col relativo territorio, stimarono superfluo di nominarsi un re o capo supremo, preferendo restare autonomi nei loro domimi e legati solo da una specie di federazione per gli interessi d'ordine generale. Di questi ducili è rimasto qualche nome nella storia : il duca che dominava in Pavia era chiamato Zabano; Gisolfo, il duca di Cividale del Friuli; Evino quello di Trento; Alachiso quello di Brescia. Un decennio durò questo stato di cose; poi, rialzando la testa la reazione nazionale contro lo stabilirsi della monarchia longobarda, rinvigoritosi l'Esarcato di Ravenna dell'amicizia di Roma, minacciando i Franchi dalla vicina Borgogna, che già avevano tentato coi loro re Cliikleberto e Clodoveo di far capolino al di qua delle Alpi, una discesa in Italia ed avendo Autari, figlio dell'ucciso Cieli, raggiunta l'età maggiore, i duchi credettero opportuno di rafforzare la loro dominazione eleggendolo a re (584).
   Autari fu l'eroe cavalleresco per eccellenza della monarchia longobarda, che aveva definitivamente fatta di Pavia la sua capitale. Egli si diede subito a migliorare le cose del regno ed a consolidare l'autorità regia di fronte a quella dei duchi. Allontanò i Franchi scesi tre volte, prima coi trattati poi colle armi; lottò colle armi e colla diplomazia coi Bisantini di Ravenna; poi si diede all'allargamento del regno, scendendo nell'Italia media e nell'estrema, tino a Reggio di Calabria, ove spinse il cavallo nel mare e vi piantò l'asta della lancia gridando: fin qui il regno. Egli fu che si scelse a sposa la virtuosa ed illuminata Teodolinda di Baviera la quale, col togliere dimezzo le discrepanze religiose, ottenne un miglior accordo ed una più utile fusione tra Longobardi e
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