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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Pavia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1896, pagine 302

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Pavia
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   statrici. Nella sua resistenza a Teodorico, Odoacre si appoggia a Ravenna, a Verona ed a Pavia, ove lux specialmente agglomerati i suoi Rugi, gente efferata e bellicosa più di ogni altra, che vi commette ogni sorta di eccessi: tanto, che Epifanio, vescovo della città, all'appressarsi di Teodorico vincitore del re a Verona, va ad incontrarlo sino a Milano e lo sollecita alla liberazione della sua città dalla molesta soldataglia di Odoacre, forse sperando che la gotica condotta dal fortunato Teodorico fosse migliore. E Teodorico consenziente, cacciati i Rugi da Pavia ed i Borgognoni, che o in aiuto di Odoacre erano venuti, sembra, dalla Liguria, o, più probabilmente, avevano approfittato di quelle congiunture per compiere una delle solite loro scorrerie su territorio italico, attese al riordinamento del nuovo regno. In questo momento prende primaria importanza il vescovo Epifanio, che si fa consigliere del re goto e per suo consiglio è revocato il decreto col quale Teodorico metteva fuori della legge quegli Italiani che avessero seguite le parti di Odoacre: poi lo stesso Epifanio fu mandato da Teodorico a Lione ambasciatole presso Gundebaldo, re dei Borgognoni, onde trattarvi il riscatto di quegli Italiani che i Borgognoni si erano tratti addietro prigionieri od in ostaggio nella loro ritirata, ed anche questa ambasciata riuscì fortunata al vescovo pavese, che combinò pure il matrimonio di Sigismundo, figlio di quel re, con ima figlia ili Teodorico. I prigionieri liberati ili tal guisa per gli uffici di Epifanio si fanno ascendere a 12,000; ma certo c'è esagerazione nei raccoglitori delle notizie d'allora o errore nella trascrizione degli annotatori che seguirono. Più tardi, essendosi la sede del Regno, sempre per l'obbiettivo della maggior vicinanza a Roma, la grande fucina della reazione nazionale contro l'organizzazione politico-militare della monarchia di conquista, trasportata da Pavia a Ravenna, lo stesso Epifanio fu mandato colà dai Pavesi ambasciatore a Teodorico per reclamare un disgravio di tributi ed altre agevolezze. Il buon prelato andò, ottenne e nel ritorno, per ì disagi del viaggio e per l'età ammalatosi, morì (497).
   Teodorico alternava, a seconda che le cure del regno richiamavano maggiormente la sua attenzione sull'Italia superiore o sulla media, la residenza regale tra Pavia e Ravenna. In Pavia, secondo ne narra Cassiodoro, egli si era fatto erigere un superbo palazzo con terme secondo l'uso romano: quivi protesse l'insegnamento delle lettere, delle scienze e della filosofìa, lavorando ad ingentilire i barbari suoi Goti cogli ultimi riflessi della grande civiltà greco-romana.
   Ma poiché questa civiltà insieme ai ricordi dell'antica grandezza, mercè la tolleranza di Teodorico, andava prendendo sopravvento negli animi degli Italiani a scapito del prestigio e della potenza dei conquistatori, venne il momento della repressione e dei sospetti: e Teodorico, da mite e civilizzatore qual s'era mostrato per tanti anni, ritornò il barbaro, rude e feroce, che non conosce altra legge fuor di quella della propria volontà, altro diritto all'infuori di quello della forza, ed inaugurò quel sistema di violenze sugli Italiani che affrettò, è vero, la caduta della sua monarchia fra noi, ma che nel frattempo ebbe l'olocausto di numerose vittime. Più illustre di tutte, fra le vittime della reazione regia alla risollevata idea romana, fu Anicio Manlio Torquato Severino Boezio, illustre e virtuoso letterato e filosofo, ripristinatore degli studi antichi, che, occupando alti uffici pubblici e cariche alla Corte di Teodorico, aveva saputo mitigarne l'animo con ottimi consigli ed era stato l'anima della tolleranza sapiente pella quale andarono distinti gli anni migliori del costui regno. Accusato dai maggiorenti goti, che invidiosi di lui stavano alla Corte di Teodorico, di cospirare alla ricostituzione dell'antica Repubblica romana, Boezio fu, insieme allo suocero suo Simmaco, imprigionato e tenuto lungamente in attesa di giudizio in una torre di Pavia. Quivi scrisse l'aureo suo trattato Della consolazione della filosofia, e quando sperava che giustizia gli sarebbe resa il rincrudito Teodorico lo condannò a morte. Tratto dalla prigione fu condotto fuori le mura di Pavia, in quel tratto di territorio che, bagnato dalla Calvenza, da questa appunto si disse agro calvenzano, e quivi tacitamente, perchè non se ne commovesse