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fusione, rispose loro, ben sapendo che l'Assemblea era in grandissima maggioranza guadagnata alla sua causa. Infatti, posta la questione ai \oti, « l'immediata fusione di Venezia negli Stati Sardi colla Lombardia e alle stesse condizioni > veniva approvata con 127 voti contro 6. All'indomani Manin, rieletto come ministro e preconizzato ancora come presidente del Governo, ricusava l'ufficio dicendo: < Ho dichiarato fino
< da ieri che sono repubblicano: ho fatto un sacrifizio, 11011 ho rinnegato un principio:
< io non potrei essere ministro di un re se non per l'opposizione >. E si ritirava a vita privata. Il ministro Castelli venne eletto a presidente. Ma sulla fine di luglio le cose di Lombardia precipitano; mentre il Veneto, lasciato indifeso da Carlo Alberto, col suo esercito in ritirata su.Cremona e Milano — dopo la sfortunata battaglia di Custoza — è invaso e rioccupato in gran parte dagli Austriaci, che d'oltre Brennero, dalla Carmzìa e dal Carso calavano in gran numero di reggimenti nuovi, freschi e ben forniti.
-Mentre, col ritiro delle truppe sarde oltre il Ticino, cadevano le speranze della libertà in Lombardia il Governo sardo nominava a suoi commissari in Venezia il generale Colli, il conte Olbrario ed il Castelli, che già faceva parte del Governo provvisorio di Venezia stessa. Il giorno 7 agosto i commissari prendono possesso, in nome di Carlo Alberto, della città di Venezia e provincia. Due atti legislativi pubblicati dal Governo conservano e garantiscono, tino a che non sia aperto il Parlamento comune italiano, successivo alla Costituente, la libertà di stampa, il diritto di associazione, l'istituzione della guardia nazionale. Ma questo stato di cose ha breve durata. Il 9 agosto interviene tra l'Austria ed il Piemonte quell'armistizio — preludio di un trattato di pace — che dal suo firmataria fu detto 1 Armistizio Salasco, il quale garentendo per allora l'integrità dello Stato sardo, disfaceva tutto quello che dal marzo in poi la rivoluzione aveva fatto, ritornando all'Austria la Lombardia ed il Veneto e Modena, Parma, Piacenza agli antichi ducili.
La notificazione dell'armistizio Salasco, comunicata al popolo veneziano l'I 1 agosto, suscita grande ferménto. Nessuno vuole accettare quelle condizioni; nessuno vuole ritornare sotto l'Austria. Il popolo è in Piazza gridando: Abbasso i commissari, evviva Manin. Questi accorre e lo calma assicurandolo che da quel momento Venezia riprende la sua libertà d'azione. I commissari si dimettono. Manin riprende le redini del Governo, convoca l'Assemblea per il 13, fa chiamare a raccolta la guardia nazionale: 700 uomini si offrono spontaneamente per andare ai forti ed un grande entusiasmo anima tutta la città, per la libertà e la resistenza. Nella stessa notte fu fatto partire per Parigi Nicolò Tommaseo, con missione speciale presso il Governo della Repubblica francese, per averne l'appoggio morale ed occorrendo anche l'alleanza materiale e l'intervento armato.
In tutto quel tristissimo mese d'agosto è in Venezia e nel breve suo territorio, che è ancora immune dalla invasione straniera, una febbre di preparazione per la suprema resistenza; poiché tutti comprendono essere inevitabile col precipitare d'ogni cosa italiana, l'assedio della città da Radetzky, non solo minacciato, ma preannunciato e stabilito nei suoi piani di vendetta contro quelle popolazioni che qualche mese prima l'avevano scacciato da Milano, dalla Lombardia tutta e da gran parte del Veneto.
La cronaca di questo memorabile periodo ha calde pagine di generoso patriottismo ed è esempio nobilissimo di quello che voglia e possa un popolo quando è beu determinato a difendere la propria libertà.
Da varie parti d'Italia, ardenti patrioti, valorosi avanzi delle precedenti campagne, desiderosi di mettere ancora il loro sangue, il loro braccio al servizio della patria e della libertà, accorrevano a Venezia, e tra questi va per il primo segnalato il generale Guglielmo Pepe, avanzo delle guerre napoleoniche e delle rivolte del 1821 e del 184^ a Napoli, col fior fiore degli ufficiali napoletani che si erano ricusati di ubbidire al richiamo del re fedifrago Ferdinando II al momento di passare il Po ed affrontare l'esercito austriaco. Manin ed i suoi compagni di Governo, Oraziani e Cavedalis, affidano