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1>arte Prima — Alta Italia
Il moto di Venezia si ripercuote dovunque sul territorio, salvo Verona, ove si radunano, insieme agli avanzi dell'esercito reduce con Radetzky dal disastro di Milano, tutte le truppe del Veneto che abbandonavano le loro guarnigioni. Dovunque si lavora febbrilmente a preparare la gioventù, le armi, gli armati che nei piani di Lombardia dovevano combattere la guerra santa dell' indipendenza.
La notizia del passaggio dei Piemontesi in Lombardia è accolta, il 31 marzo in Venezia, con entusiasmo indicibile. Ognuno si prepara a combattere la grande — e allora creduta decisiva — lotta. Ai volontari che si apprestano a partire per la guerra in Lombardia si dà il nome di Crociati.
Il Governo provvisorio manda indirizzi diplomatici ed ambasciatori agli Stati italiani ed alle potenze. Il primo corpo di volontari o crociati veneziani, capitanato da Ernesto Grondoni, si dirige, il 5 aprile, su Palma, per contendere da quelle parti il confine friulano. Per la Lombardia partono, 1*8 aprile, in maggior numero due corpi di volontari veneziani, comandati dai due fratelli Zerman e da Girolamo Michiel; a Montebello nel Vicentino, insieme ai volontari di Padova e Treviso — in gran numero studenti — si scontrarono con un agguerrito corpo di Austriaci, con cui si battono per tutta la giornata, perdendo oltre cinquanta uomini morti, e molti feriti.
Il 12 aprile cominciano a stabilirsi le relazioni diplomatiche tra il Governo provvisorio di Venezia e Carlo Alberto, il quale mandò, come suo incaricato d'affari, il genovese Lazzaro Rebisso. Per tutto quel mese di aprile e nel susseguente maggio continua l'entusiasmo e la grande speranza nell'esito finale della guerra, sebbene da alcuni prodromi troppo significanti si comprenda che il patriottico movimento — ad onta dei meravigliosi eroici sforzi delle popolazioni — è destinato dovunque ad abortire. L'inazione delle truppe piemontesi, dopo i brillanti successi di Goito e di Peschiera, i successivi rovesci e la ritirata dell'armata sarda in seguito, il richiamo delle truppe napoletane già arrivate eoi generale Pepe al Po, il voltafaccia di Pio IX, sono tutti fatti che si seguono l'un l'altro, mentre le truppe austriache riprendono l'offensiva in vari punti del Veneto e della Lombardia, facendo cadere molte illusioni ed ammonendo i popoli a non confidare che in loro stessi: del che diedero in quel maggio battagliero splendida prova i Cadorini, coll'eroica, memorabile difesa della loro terra, assalita, invasa su varii punti da numerosi corpi di truppe nemiche.
Cominciano a designarsi in Venezia due partiti, l'uno — rappresentato da Manin e da molti capi democratici — per la costituzione di uno Stato veneto, autonomo, in forma repubblicana, da federarsi cogli altri Stati italiani, per formare così — salve le rispettive autonomie — la Nazione italiana, una ed indipendente; l'altro, al quale partecipavano elementi più temperati e molti nobili ed ex-austriacanti, per promuovere l'annessione o dedizione incondizionata al Piemonte ed alla dinastia di Savoia, impersonata allora in Carlo Alberto. 1 cronisti dell'epoca e molte scritture pubbliche e private che sì hanno, narrano come tutta la regione e Venezia stessa fossero invase da emissari piemontesi e lombardi lavoranti a quello scopo, e che nei dibattiti suscitati fra le masse creavano non pochi imbarazzi al Governo della Repubblica e facevano nelle loro diatribe quasi perdere di vista l'obbiettivo del vero momento: vale a dire la guerra contro lo straniero. Per tali quistioni l'eccitamento degli animi sale ad un grado altissimo, da provocare disordini nel popolo e defezioni nella guardia civica e nei volontari, ed a gridare per le vie da degli sconsigliati: Morte a Manin! Morte, a Tommaseo!, perchè i due capi del Governo, fautori della forma repubblicana, erano contrari alla fusione incondizionata col Piemonte. Nelle giornate memorabili del 3, 4 e 5 luglio fu, dall'Assemblea nazionale veneta radunata nel palazzo Ducale, dibattuta la grande questione. Manin e Tommaseo si dichiarano contrari all'immediata fusione, dimostrando < necessario e decoroso astenersi per ora da un passo che non potrebbe sembrare nè libero, nè utile, nè onorevole >. Il ministro Paleocapa, favorevole alla