Venezia
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Dal 1814 al 1846 fu un periodo di grande depressione inorale, economica, industriale, marittima per Venezia. Il Governo di Vienna, che per quanto tenuto dal principe di Mettermeli, il grande architetto, insieme a Talleyrand, del Congresso di Vienna, non poteva illudersi sull'eternità della carta europea cosi come l'aveva raffazzonata il Congresso della Santa Alleanza, si diede a favorire in ogni modo, a detrimento dell'antica regina dell'Adriatico, il commercio e la navigazione di Trieste; sì che in brevi anni l'operosità marittima di Venezia fu ridotta alla minima espressione ed il suo porto completamente tagliato fuori dalle grandi correnti del traffico moderno, che pure trovano nell'Adriatico una delle loro linee più rapide e sicure per il nord ed il centro d'Europa.
A Venezia furono tenuti lungamente nelle prigioni dei Piombi nel palazzo Ducale molti degli inquisiti nei processi per Carboneria del 1820-21-22 in Lombardia e nel Veneto. Del soggiorno di questi gloriosi preparatori della Patria italiana nelle prigioni di Venezia e delle loro sofferenze è rimasto indimenticabile ricordo nelle Mie Prigioni del saluzzese Silvio Pellico, che fu tra le più miti ed insieme più generose vittime di quella reazione. Dall'alto dello scalone dei Giganti, nel cortile del palazzo Ducale, i Carbonari intesero la lettura della sentenza che. li condannava ai sepolcro dello Spielberg, dal quale taluno più non uscì. Dopo la lettura della sentenza, in ceppi, furono tradotti al luogo d'espiazione della terribile pena.
Questi fatti, congiunti al decadimento di ogni attività economica e marittima, che il Governo di Vienna favoriva, quasi a punire Venezia dell'essere stata per tanti secoli libera, ricca, potente, invidiata dominatrice dei mari, ed oltre a questo il Governo essenzialmente poliziesco inflitto alla nobile città, avevano gettato su di essa come un nuvolo di tristezza, che contrastava coi ricordi brillanti del passato. Nella stessa passiva osservanza a tutte le sue leggi il Governo di Vienna sentiva che l'anima di quel popolo, sanguinante ancora per la perduta libertà, della quale molti ancora ricordavano gli ultimi fulgori, non era con lui; perciò ogni suo atto era inspirato al sospetto poliziesco. Rassegnato ed in silenzio il popolo veneziano soffriva aspettando e preparandosi a tempi migliori. E questi, auspicati dai grandi apostoli della risurrezione patria, non mancarono.
Il fermento eccitatore, preparatore della rivolta, cominciò a manifestarsi dopo il 1845, dopo il risveglio letterario-sCientifico, prodotto in tutta Italia dai memorabili Congressi degli scienziati ; si accentuò vivamente nel 1846, all'esaltazione di Pio IX alla cattedra pontificia e colle riforme liberali, patriottiche, colle quali quel papa inaugurava il suo pontificato. Nel 1847 l'onda del risveglio popolare si volse verso migliori ordinamenti politici e sociali, aventi per base l'affermazione ed il conseguimento della indipendenza nazionale, ed il governo di Vienna male si avvisò, quando era troppo tardi, di imbrigliare queste aspirazioni con nuove repressioni poliziesche, giudizi statari e stati d'assedio.
Il 1848 era cominciato fra il generale scoramento in Venezia. Del carnevale, che aveva, si può dire, tradizioni secolari, gioiose, non si era avuta che una parvenza cupa, silenziosa. Non feste nelle case dei privati, non allegrie pubbliche. Anche i forestieri, che in quell'epoca frequentavano la città in gran numero — sola risorsa che le fosse rimasta — avevano disertato. Tutti prevedevano avvenimenti gravi, sanguinari.
Il Governo di Vienna, alle domande di concessioni liberali che gli avevano diretto i popoli dej Lombardo-Veneto, aveva risposto istituendo Corti marziali, giudizi statari ed ordinando le più severe repressioni, dovunque e comunque si fosse manifestata minore ossequenza ai voleri, agli ordini del paterno Governo. Il sangue già era corso a più riprese sotto le daghe dei poliziotti e le baionette della soldatesca per le vie di Milano e di altre città. Lo stesso pericolo incombeva su Venezia. Quivi, a dimostrare la solidarietà del popolo negli stessi intenti, nelle medesime aspirazioni, si
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