Venezia
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Repubblica veneta. Allo stesso intento erano da lui sfruttati tutti gli avvenimenti di impulso popolare, utili ai Francesi ed al nuovo ordine di cose (la lui stabilito nelle Provincie venete da lui occupate, nonostante che, a voler esser giusti, non fosse il caso di attribuirne la responsabilità al governo veneto. Ma egli, il Córso ambizioso e fortunato, aveva la sua direttiva e 11011 si lasciava smuovere nè dai consigli di lìarras, nè dagli ordini del Direttorio.
Dall'esame dei documenti che furono pubblicati intorno alla caduta della Repubblica di Venezia e da quelli che esistono negli archivi, appare evidente l'ostinazione che Bonaparte mise in questa sua triste impresa. Sembrava dominato da un odio speciale contro Venezia ed il suo Governo : un odio che non mostrò mai per le altre terre italiane conquistate dalla sua spaila. Ma più che ragione politica o militare od odio speciale generato da cause personali, chi spingeva Bonaparte ed i suoi generali alla conquista di Venezia, all'esteriiiinio della vecchia Repubblica di San Marco, era cupidigia pura e semplice di predoni che, non contenti del bottino fatto in Lombardia, nell'Emilia, negli Stati della Chiesa ed altrove, volevano mettere le mani su le ricchezze di Venezia, sulle quali la fama leggendaria, corrente allora, era assai maggiore della realtà. Questa e non altra era la ragione principale che spingeva Bonaparte, ad onta delle esitanze del Direttorio, dei richiami interessati di Barras, a scagliarsi sulla Repubblica veneta e finirla. Ogni pretesto, anche nella maggior malafede, servì a Bonaparte in quest'impresa, che fu una delle sue grandi vergogne — e non sono poche della sua vita politica — senza che egli ne avesse, all'infuori di qualche anonimo o solitario scrittore contemporaneo, biasimo di sorta. Egli era in Francia ed in Italia l'idolo del momento; egli era l'eroe invincibile e liberatore, e qualunque cosa egli oprasse trovava il plauso delle moltitudini, non domandanti di meglio che di avere un idolo, fosse pur in abito di sanculotto, a cui prostrarsi.
Così la rovina di Venezia, la fine della sua libertà, decretata dall'ambizione, dalla cupidigia di Bonaparte assai prima e più che dalla volontà del Direttorio, fu, tra la fine del 1796 e la seconda metà del 1797, un fatto compiuto. Gli avvenimenti sono noti ed il raccontarli per disteso è superfluo. Mentre ancora pendevano le trattative fra il governo della Serenissima ed il Direttorio, Bonaparte, al quale si fa pure il carico di fomentatore dei disordini e della ribellione avvenuta nello Stato veneto contro i Francesi (come ad esempio le cosidette Pasque veronesi), per avere pretesto all'invasione armata da lui meditata (Io sarò un Attila per Venezia, aveva egli detto ai primi di inaggio del 1797, quando già era penetrato nel territorio veneto ed occupato Vicenza, Padova, il Friuli ed altre città) s'era stabilito col quartier generale a Palmanova. Giu-stinian e Donato, patrizi mandati dal Senato a chiedergli di desistere dai suoi propositi di vendetta su Venezia, per l'incidente Laugier ed altri fatti dei quali mostravasi estremamente irritato, gli dimostrarono che la Repubblica aveva chiesta l'amicizia del Direttorio prima dell'ingresso delle truppe francesi in Italia; che Venezia rifiutò sempre di prendere parte, sebbene sollecitata, alla coalizione austro-russa contro la Francia; che non si oppose mai all'occupazione francese, ma la favorì ponendo a disposizione di Bonaparte piazze forti, armi, munizioni di guerra, viveri: depauperando il pubblico erario, imponendo gravi pesi ai sudditi; che in tale stato di cose non si poteva nemmen supporre essere intenzione di Venezia di muovere guerra alla Francia amica e vittoriosa; che Venezia avrebbe punito gli assassini del Laugier, disarmate le popolazioni, accettata la mediazione del Direttorio per sedare la rivoluzione. Tutto fu vano. ÀI 1° maggio del 1797 Bonaparte, da Palmanova, emanava il famoso manifesto con una sequela di capi d'accusa, più o meno fondati, che dovevano, a suo parere, giustificare l'aggressione sua contro Venezia, vera violazione del diritto delle genti, e dichiarare la guerra alla Repubblica. Al 6 maggio le ostilità cominciano; il 12 maggio il maggior Consiglio accetta l'abdicazione deb vecchio doge Lodovico Manin; al 16 maggio entrata delle