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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Venezia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografico-Editrice Torino, 1902, pagine 383

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   l'arte Prima — Alta Italia
   dal Ranelle, organizzata in Italia dal duca d'Ossuna, viceré di Napoli; dal duca di Toledo, governatore di Milano ; dal marchese di Redimir, ambasciatore di Spagna a Venezia. Alcuni stranieri, comprati dall'oro spaglinolo, dovevano aiutare a rovesciare il governo repubblicano ed a chiamare in Venezia un viceré spagnuolo. Ma i congiurati, scoperti, furono condannati a morte; il governo di Madrid sconfessò la cosa e Venezia dovette accontentarsi di avere nelle mani i colpevoli minori. Venezia prese parte, sempre in odio alla Spagna, alla famosa guerra per la successione di Mantova, sostenendo colla Francia i diritti del nuovo duca di quella città : ma in questa guerra disgraziato toccò una sconfitta a Valeggio e si riportò in casa la peste, che era stata recata in Italia dai lanzichenecchi tedeschi (1630).
   Nel frattempo Venezia aveva sostenute le sue famose questioni con papa Paolo V, per ragioni di diritto canonico contrarie agli interessi ed all'autorità dello Stato. Chi tenne fronte alla Curia romana nell'aspro dibattito, in qualità di consultore della Serenissima, fu il servita Fra Paolo Sarpi, lo storiografo sommo del Concilio Tridentino, ingegno scientifico, che, al dire di Galileo, competente in materia, non ebbe altro maggiore. Per queste controversie Venezia fu perfino scomunicata; ma Enrico IV, re di Francia, buon mediatore, riappacificò il papa con Venezia.
   Nella seconda metà del secolo XVII Venezia sostenne la più lunga delle guerre che la sua storia rammenti: la guerra di Candia. I Turchi, non contenti del possesso di Cipro, vollero anche Candia e cominciarono a tentarne l'impresa. Posseder Candia equivaleva per essi a troncare la potenza veneta, che in quell'isola teneva il suo maggiore presidio e le secolari tradizioni di gloria, di dominio in Oriente. La guerra durò ventitré anni e costò alla Repubblica milioni d'oro, infinite navi e 30.000 uomini. Nelle varie fazioni che si svolsero intorno a Candia acquistarono gloria: Tommaso Morosini, che con una sola galera arrestò la flotta nemica e la vinse, restando morto sul ponte della nave trionfante; Jacopo De Riva, intrepidissimo condottiero; Leonardo Foscolo, agnato del poeta che poco più di un secolo dopo doveva combattere con valore a Genova a fianco di Massena; Nicolò Marcello; Lazzaro Mocenigo e tanti altri nomi illustri dell'antico patriziato veneziano.
   Ma l'episodio maggiore e più doloroso di questa guerra, la resa di Canea e dell'isola di Candia, fu sostenuto da Francesco Morosini, che, abbandonato dagli alleati francesi, sotto il comando del duca di Noailles, resistette fin che la resistenza fu possibile e, cedendo, cedette al nemico non già una città ma un ammasso di rovine. I carteggi dell'ambasciatore veneto a Versailles, che ancora si conservano nell'Archivio di Stato, dimostrano la slealtà del governo di Luigi XIV verso Venezia in questa contingenza. Tornato in patria il Morosini fu dall'avogadore del Comune, Marc'Antonio Carrara, pubblicamente accusato per la cessione di Candia ed i preliminari della pace; ma la difesa di Giovanni Sagrado sfatò ogni accusa.
   Ripresa la guerra contro il Turco, sebbene avesse perduta Candia, fu eletto capitano generale (1684) e nei tre anni che durò la guerra tolse ai Turchi l'isola di Santa Maura, Prevesa, Corone, tutto il Peloponneso e Atene. Nell'assalto di questa classica città gli si fa addebito di non avere rispettate le meraviglie sacre all'arte del Partenone: certo è torto grave per un uomo che come il Morosini ebbe alto e civile sentimento; ina era guerriero soprattutto; echi non sa che nella guerra, anche la più giusta e gloriosa, vi ha sempre un fondo, un sedimento grande di barbarie? Eletto doge nel mentre capitanava l'armata, fu confermato nell'officio; tentò di sorprendere l'isola di Negroponte, ma l'impresa gli fallì. Riconquistata Malvasia si ritrasse a Venezia ammalato ed affranto di fatiche. Gli succedette nel comando Domenico Mocenigo, che poteva riacquistare Canea, ma non seppe e fu destituito. A 75 anni Francesco Morosini, riassunto il coniando supremo dell'armata, si accingeva a ritentare l'impresa fallita al Mocenigo, quando morte lo volle. Francesco Morosini fu l'ultimo