206
l'arte Prima — Alta Italia
Le vicende guerresche seguono il lungo dogado di Francesco Foscari, senza interruzione: in Lombardia, nelle Roma gii e, nel Veneto, in Dalmazia, in Oriente, le armi di Venezia combattono con alterna fortuna. Nel 1442, sentendosi avversato da alcuni nobili, tra cui primo Pietro Loredano, Francesco Foscari chiede di abdicare: il Senato si oppone.
Gli ultimi anni del dogado ili Francesco Foscari sono assai tristi: le guerre poco fortunate, nelle quali la Repubblica è impigliata, gli crescono intorno il malcontento del popolo, la diffidenza del Senato, a cui si aggiunse 1 odio dei Loredano e loro aderenti, i quali avevano ferma la credenza che Pietro Loredano, valoroso e fortunato capitano, ed un fratello di lui, fossero morti di veleno per coniando di Francesco Foscari, di quelli nemico e geloso.
Jacopo Foscari, figlio del doge, incolpato a torto per le macchinazioni del Loredano, viene mandato dal Consiglio dei N in conline. Egli, per vedere la moglie ed i tìgli, rompe l'ordine e rientra in Venezia. Scoperto è imprigionato e di nuovo giudicato, è condannato al bando dalla Repubblica e mandato in relegazione a Canea. Il doge deve firmare e fare eseguire la sentenza, nonostante che supplicassero per la grazia Paolo Barbo (che fu poi papa Paolo II) ed altri patrizi.
Questi fatti e la tarda età avevano allentata la fibra tenace del doge e nel tempo stesso cresciute le diffidenze della Signoria verso dì lui. Visto ch'egli non pensava a ritirarsi, nè si decideva a morire, ne fu decretata la deposizione il 24 ottobre 1457. L'atto fu duro, ma forse reso necessario dalle necessità politiche del momento, a cui erano estranee le ragioni passionali, sulle quali è in gran parte architettata la celebre tragedia di lord Byron, che, nella prima metà del secolo scorso, rievocò dalla tomba, e li rese di moda facendo palpitare le anime romantiche, i Foscari e le loro sventure.
11 31 ottobre del 1457 fu eletto a doge Pasquale Malipiero (doge 66°), mentre il vecchio Foscari, ritornato al suo palazzo, moriva di crepacuore.
Il nuovo doge trovò la situazione politica generale e quella dello Stato, sì interna che esterna, tutt'altro che lieta. L'Italia e l'Oriente erano in fiamme: quivi, per le ambizioni dei principi e delle repubbliche, fra cui brigavano di continuo gli avventurieri capitani di truppa, per tenere accese le guerre e non restare senza guadagni od acquistare posizioni; là, per l'invasione turca, che, colla presa di Costantinopoli (1452), cominciava ad estendersi per le coste e le isole del mar greco e nella penisola balcanica, minacciosa per l'Europa cristiana, rovinosa per gli interessi di Venezia e di Genova, che avevano viste distrutte le loro ricche colonie di Costantinopoli e del Mar Nero e dell'Arcipelago. Da questo momento comincia lenta, ma continua, la discesa della parabola della fortuna veneta.
Periodo nono dal 1453 al 1516. — Nel tristissimo periodo che fu per l'Italia la seconda metà del secolo XV ed il principio del XVI, e nel quale la Repubblica di Venezia corse il maggiore pericolo, dilaniata e oppressa dai suoi potenti nemici tanto d'Italia che fuori, tengono il dogado Pasquale Malipiero, Cristoforo Moro, Nicolo Tron, Nicolò Marcello, Pietro Mocenigo, Andrea Vendramin, Giovanni Mocenigo, Marco Barbarigo, Agostino Barbarigo, Lionardo Loredano.
Gli avvenimenti di questo periodo si accumulano, si intrecciano e si complicano al punto che volendo seguirli paratamente ci porterebbe ad un lavoro assai lungo e minuto, non consentito dall'indole di cotesta sommaria illustrazione della Patria italiana. alla quale attendiamo. Ci limiteremo, pertanto, a delincare a brevi tratti le caratteristiche dei momenti, mettendo m risalto la parte che Venezia v'ebbe e le conseguenze che per la Repubblica ne seguirono.
Nella presa di Costantinopoli i Veneziani, al pari dei Greci, ebbero a soffrire danni nelle persone e negli averi. Si combattè a più riprese coi Turchi, con varia fortuna;