Venezia
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Cane, il Gattainelata da Natili, il Colleoni da Bergamo ed altri parecchi di minor nome
e possanza.
Condottiero il Carmagnola, che per danaro avevano sottratto al duca di Milano, dal quale era stato innalzato, i Veneziani vinsero a Maclodio ed in altri luoghi di Lombardia; nelle acque di Rapallo batterono le navi liguri che avevano issata bandiera viscontea, con Francesco Barbaro condussero la guerra nel Bresciano; con Pietro Avogadro snidarono le sponde del lago di Garda, mentre per la valle dell'Adige penetravano nel Trentino, occupavano Trento, Riva, le Giudicane, trasportando a buoi, per la valle di Mori ed il lago di Loppio, una flottiglia che immisero nel lago di Garda, ma che non corrispose all'assegnamento che ne avevano fatto, perchè presto incendiata dai nemici viscontei. E dal Trentino dovettero pura sloggiare presto, per l'appoggio che i principi-vescovi di Trento trovarono presso 1 imperatore, il quale voleva aversi aperta quella via perenne alle calate teutoniche in Italia.
Contemporaneamente a queste guerre di Lombardia, Venezia era sempre in armi contro i Turchi, che ognora più dappresso stringevano come in un cerchio di ferro e di fuoco il cuore dell'ormai sminuzzato Impero bisantino: e non potè mantenere la ricca città di Salonicco, presa dai Turchi nel 1430. In quello stesso anno il doge Foscari è fatto segno ad un attentato : Andrea Contarmi, patrizio che aveva ragioni di rancore colla famiglia Foscari, assale il doge durante una cerimonia in San Marco, colpendolo con un acuminato pugnale di cipresso e lo ferisce alle mani ed al volto. Il Contarmi è preso e condannato a morte. Nel 1431 nuova guerra contro il duca di Milano; e, sospettandosi in questa circostanza della fedeltà del Carmagnola, questi è imprigionato, giudicato dai X e condannato alla decapitazione, avvenuta il 5 maggio del 1432 fra le due colonne della Piazzetta. Anche di questo fatto si diede grande addebito alla Repubblica di Venezia, tacciandola di ingrata, di scellerata e peggio, specie che dopo la pubblicazione della tragedia manzoniana e del noto quadro dell'Hayez, la figura del Carmagnola assunse, nell'opinione delle inasse, intonazioni patetiche.
Lo storiografo piemontese conte Cibrario, che ne studiò e pubblicò il processo e del 'Carmagnola fece una appassionata difesa, lanciò contro Venezia accuse ed ingiurie che mal si convengono alla serenità della storia. I precedenti del Carmagnola, che per danaro ed ambizione aveva abbandonato il Visconti, suo amico e benefattore, per darsi ai Veneziani e voltarsegli contro, poco affidavano di lui. Lopo la battaglia di Maclodio e per la restituzione dei prigionieri — non voluta dalla Repubblica — e per altre ragioni, il Carmagnola, che dai Veneziani era stato colmato di ricchezze e di onori, tino ad essere ascritto fra i nobili, venne accusato di tradita fede. Il Consiglio dei X, stante la gravità della cosa, si aggregò per esaminare l'accusa altri venti patrizi, dei più autorevoli nelle magistrature pubbliche. L'accusa parve sì fondata che si trovò dover inquisire, adoperando, perchè il conte insospettito non fuggisse, l'astuzia. Quando le prove parvero sufficienti fu arrestato ed esaminato da un Collegio di giudici. Fu condannato non con suffragi unanimi ma dalla maggioranza — il che esclude nei giudici il preconcetto della ragione politica — la sentenza fu pubblicata ed eseguita pubblicamente con tutte le formalità volute, davanti all'intera citta a tutto il Biondo, fra le colonne di San Marco. Il processo e la sentenza, condotti secondo le leggi del tempo, rimasero regolarmente registrati e conservati negli atti dei X e negli archivi di Stato. Se la Repubblica avesse voluto, per semplice sospetto o per vendetta, sbarazzarsi del Carmagnola, non le sarebbero mancati sicari, veleni o manigoldi entro le carceri per liberarsene segretamente: tali essendo gli usi del tempo e non a Venezia soltanto. Ma affrontando la solennità del giudizio regolare e la pubblicità della esecuzione della sentenza, la Repubblica mostrò che il diritto era con lei e che la colpa del Carmagnola era provata, non essendosi mai i Veneziani mostrati cotanto sciocchi da sfidare il giudizio del mondo contro ragione e giustizia.