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l'arte Prima — Alta Italia
presentò a pagare quel conto ed il Friuli rimase a Venezia. Al patriarca venne lasciato il godimento di due soli castelli: San Daniele e San Vito al 'ragliamento. I diritti dell'antico Parlamento friulano, dove sedevano i feudatari ed i Comuni della regione, furono conservati al pari delle leggi statutarie. A governare il Friuli fu mandato un nobile veneziano, che presiedeva il Parlamento col titolo di luogotenente. Il Parlamento del Friuli ebbe tutti i diritti che ebbero dovunque le rappresentanze dei popoli di origine germanica.
11 doge Michele Steno muore nel dicembre 1413 ed ai primi del gennaio 1414 viene eletto Tommaso Mocenigo (doge 64°). Questi, continuando la guerra contro il re di Ungheria, si strinse in lega contro Filippo Maria Visconti, che più tardi doveva essere uno dei più acerrimi nemici di Venezia. I rapporti tra Milano e Venezia in quel periodo erano cospicui ed ininterrotti. Il commercio fra le due città portava lo scambio per anno di un capitale d'oltre 2 milioni di zecchini. Così risulta da un'arringa dello stesso doge. I contini dello Stato di terraferma andavano dall'Isonzo al Mincio; di più Venezia possedeva le isole del mar Jonio, Candia e luoghi in Morea e nell'Epiro. Le vittorie di Pietro Loredano contro i Turchi diedero a Venezia la signoria di Sebenico e di altre terre dalmate: l'Istria ed il Quarnero erano assicurati a Venezia, che quivi aveva impiantate larghe e proficue saline. Il censimento della marina noverava allora 3300 navi private, 45 grosse galee proteggevano il commercio. I marinai della Repubblica erano 36.000. Negli ultimi anni del fortunato dogado di Tommaso Mocenigo la Repubblica si accrebbe ancora ili Udine e di altri territori friulani, di Tran e Spalato tn Dalmazia; sono domati ì corsari genovesi e catalani che molestavano il commercio veneto, e sul corsaro Spinola, ch'era il terrore dei mari, fu riportata una bella vittoria nel porto di Gaeta.
Tommaso Mocenigo morì il 4 aprile 1423, come narrano il Sanudo ed altri storici, sconsigliando dal suo letto di morte l'elezione di Francesco Foscari, procuratore di San Marco, già designato (piale suo successore, come uomo dal cui governo la Repubblica avrebbe avuto più affanni che vantaggi. Ma il consiglio del buon doge non fu ascoltato: alli 15 d'aprile veniva eletto Francesco Foscari (doge 65°), uomo irrequieto e superbo, al quale alcuni scrittori del romanticismo crearono una fama sentimentale, melodrammatica, contrastante colla realtà storica assodata dei fatti. Nessuno nega il valore personale di Francesco Foscari ed i servizi che prima del dogado e durante questo rese alla patria; ma l'impulso turbolento dato alla politica della Repubblica durante il suo dogado attirarono su di questa ire, inimicizie e guerre, delle quali dovette pagare le conseguenze non lievi tra la fine ed ti principio del secolo dopo.
Non appena Francesco Foscari fu doge cominciarono le guerre. Giovanni Paleologo, imperatore d'Oriente, venne in Venezia a sollecitare aiuti contro i Turchi; Venezia dà gli aiuti, ma in compenso si prende Salonicco e Patrasso. Quindi guerra in Lombardia col ducato di Milano ed altrove. Qual periodo triste per la storia d'Italia sia stata la prima metà del secolo XV (superata in tristizie solo dalla seconda metà del secolo stesso) non è chi non sappia.
Mentre Firenze uccideva la libertà di Pisa, Venezia s'impadroniva di Brescia, di Bergamo, di Crema a spese del ducato di Milano: Veneziani e Fiorentini erano stretti in lega contro Filippo Maria Visconti, tiranno cupido e crudele, che nulla di buono preparava nè per i suoi sudditi nè per la sua famiglia. Arbitri delle situazioni politiche il più delle volte erano i capitani di ventura assoldati dalle repubbliche e dai principi : uomini di guerra di molta abilità e merito, ina senza fede e senza onore, che passavano, a seconda del soldo, del tornaconto e delle loro mire ambiziose, dal servizio dell'uno al servizio dell'altro e, senza difficoltà, se il nuovo padrone era il nemico dell'ieri o viceversa, onde chi li pagava aveva ben ragione di vivere in continua diffidenza di costoro. Si chiamavano Francesco Attendolo Sforza, Nicolò Piccinino, Facino